Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/155


sussultava con loro. Pareva una festa un rito convulso tra fiume e collina, dove al grido della donna rispondessero i gesti di tutti. Perché la donna, una Rosalba in verde oliva, gridava nel canto, si dondolava con le mani sui seni e gridava, invocava qualcosa.

Adesso la nostra Rosalba stringeva con beatitudine la mano di Poli e lui, casuale, discorreva con Pieretto.

— Ciascuno dovrebbe cantare da sé, — disse Pieretto, — ci sono cose che bisogna farle noi, noi soli.

E Poli ridendo: — Chi balla è già occupato. Bisogna scusarlo.

— Chi balla è un tonto, — rispose Pieretto, — cerca in giro quel che ha già tra le braccia.

Rosalba batté le mani, con la gioia convulsa di una bambina. Faceva senso con quegli occhi accesi. In quel momento arrivarono i liquori e il caffè, e lei dovette staccarsi da Poli.

L’orchestrina riprese, ma questa volta senza canto. Le altre voci tacquero e restò il pianoforte solo, che eseguí qualche minuto di variazioni acrobatiche, da battimano. Si stava a sentire anche senza volere. Poi l’orchestra coprí il pianoforte, e lo sommerse. Durante il numero, lampade e riflettori che illuminavano le piante, cambiarono magicamente colore, e fummo verdi, fummo rossi, fummo gialli.

— Un posticino discreto, — disse Poli guardandosi intorno.

— Gente letargica, — disse Pieretto. — Ci vorrebbe lo strillo di Oreste.

Poli levò il mento, occhi sorpresi, e ricordò. — Il nostro amico è andato a letto? — disse subito. — Vorrei fosse qui.

— Smaltisce la nottata di ieri, — disse Pieretto. — Peccato. Certe cose non le sopporta.

Vidi Rosalba come nuda, nel gesto che fece. Ebbe un sussulto. — Voglio ballare, — disse secca a Poli.

— Cara Rosi, — lui disse, — non posso lasciare i miei amici ad annoiarsi. Sarebbe scortese. Siamo a Torino, una città per bene.

Rosalba arrossí, come una fiamma. Mi resi conto in quell’istante ch’era pazza e ch’era goffa. Chi sa, forse aveva anche dei figli, a Milano. Ricordando la storia dei fiori che mandava a Poli, distolsi lo sguardo. Sentii Pieretto che diceva: — Sarei lieto di farla ballare, Rosalba, ma so che non posso sperarlo. Non sono Poli, purtroppo — . Lei ci diede un’occhiata, piú che cattiva, sbalordita.


151