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vino; lui aveva altri mezzi, aveva droghe, libertà, donne di classe. La ricchezza è potenza. Ecco tutto.

— Sei matto, — dissi. — Noi ragioniamo sulle cose. Io voglio capire perché godo andando a spasso. Per esempio, tu cerchi Torino e a me piace salire in collina. Mi piacciono gli odori della terra. Perché? Poli di queste cose se ne sbatte. È un incosciente, lo dice anche Oreste.

— Scemi che siete, — ribattè Pieretto, e mi spiegò che c’è un bisogno d’esperienza, di pericolo, e che i limiti sono posti dall’ambiente in cui si vive. — Può anche darsi che Poli dica e faccia sciocchezze, — disse, — può darsi che ci lasci le ossa. Ma sarebbe piú triste se vivesse come noi.

C’incamminammo discutendo, come sempre. Pieretto sosteneva che Poli faceva benissimo a conoscere la vita secondo i suoi mezzi. — Ma se dice sciocchezze, — obiettavo. — Non importa, — diceva Pieretto, — a modo suo s’arrabatta e tocca cose che voialtri nemmeno sospettate.

— Vuole darti la coca anche a te?

Pieretto, irritato, disse che Poli della droga non faceva una posa. Ne parlava pochissimo. Ma con quel prete aveva detto cose sul peccato, che mostravano occhio profondo e una vera esperienza. Allora risi in faccia a Pieretto, e lui di nuovo s’irritò.

— Ti scandalizza che uno prenda la coca, — mi disse, — e poi ridi se si parla del peccato?

Si fermò davanti a un bar. Disse che andava a telefonare. Dopo un po’ si sporse dalla cabina, voleva sapere se Oreste veniva.

— È mezzanotte. Oreste dorme. I suoi mezzi lo esigono, — dissi.

Pieretto vociò nel telefono. Continuò per un pezzo. Ridacchiava e parlava. Quando uscí disse: — Si va da Poli.


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