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Poli finí la discussione con Pieretto e si voltò.

— Papà mi ci ha chiuso l’altr’anno senza lasciarmi la macchina, — disse senza confondersi. — Strane idee ha la gente. Voleva staccarmi... Da che? Non so se ci torno. Può esser bello passarci una giornata e non di piú. Con qualche amico e qualche disco.

Aprí con garbo gli sportelli. Avrei voluto non salire perché adesso capivo che con lui non si poteva esser noialtri. Si doveva ascoltarlo e accettare il suo mondo rispondendogli a tono. Esser cortesi con lui voleva dire fargli specchio. Non capivo come Oreste fosse riuscito a stargli insieme per giorni.

Poli al volante si voltò e disse: — Allora si va?

— Dove?

— Al Greppo.

Saltò su Oreste. — Siamo matti? Voglio andare a dormire.

Anch’io protestai ch’era un’ora assurda.

— Non è ancor giorno, — disse Poli. — Sono le quattro meno qualcosa. Alle cinque ci siamo.

Gridammo insieme che avevamo una casa. — Portaci giú, — disse Oreste. — L’occasione tornerà.

Gli bisbigliai: — C’è da fidarsi?

Oreste diceva: — Voglio andare a dormire. Lasciaci a Porta Nuova.

Partimmo verso Torino. La macchina filò soffice, sicura di sé. Pieretto al fianco di Poli non aveva parlato.

Eravamo sui viali luminosi e abbandonati. Scese Oreste in via Nizza, davanti ai portici. Sul predellino, disse a Poli arrivederci. In un attimo deposero anche me, sul mio portone. Salutai. Dissi a Pieretto di trovarsi l’indomani. La macchina dileguò con quei due.


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