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tuario, e un gomito della strada dov’era avvenuto l’eccidio. Lui girava i pianori di cresta, vedeva gente, parlava e faceva parlare. Un mattino vedemmo tra i boschi una colonna di fumo; la sera stessa si sentí in paese che c’era stato un altro scontro verso il Tanaro, che una colonna di tedeschi e fascisti s’era buttata sul versante e bruciava, sparava, rubava.
La notte dormivo in fienile; m’avevano prestato una coperta. Verso sera quel ventaccio cadeva, e si tendeva l’orecchio se venissero spari, clamori. Con Otino restavamo sul campo, sotto le stelle mai vedute cosí vive; e nell’urlio dei grilli scrutavamo nel buio, cercavamo gli incendi, i falò. Accadeva di scorgere accenni di fuoco, sul gran nero dei colli. — Fate attenzione, — mi diceva Otino, — passerete di là. Dove han bruciato, non c’è piú sorveglianza.
Volevo pagargli qualcosa di ciò che mangiavo. Sua madre non disse di no; soltanto si chiedeva sospirando perché la guerra non finiva. — Durasse anche un secolo, — dicevo, — chi sta meglio di voi? — C’era ancora sotto il portico la chiazza di sangue di un coniglio sgozzato. — Vedete com’è, — disse Otino, — questa fine la dobbiamo fare tutti.
Me lo condussi nella vigna dov’ero entrato quella notte, e gli dissi che mi pareva un bel rifugio. Bastasse dormire in chiesa per stare sicuri, disse Otino, le chiese sarebbero piene. — Qui non è piú una chiesa, — risposi, — ci han pestato le noci e acceso il fuoco per terra.
— Ci venivamo da ragazzi a giocare.
C’entrammo discorrendo di com’era in paese, e che tutti vivevano nella paura che anche lungo la ferrovia toccasse una fucilata a un tedesco o fermassero un camion. — Ne hanno incendiato delle chiese? — feci a un tratto. — Bruciassero queste soltanto, — disse lui, — sarebbe niente.
Una sera raccogliemmo tutti i rami che si trovarono, e con vecchi cartocci di meliga buttati accendemmo un fuoco, nel cantuccio sotto la finestra. Poi seduti davanti alla fiamma, fumammo una sigaretta, come fanno i ragazzi. Dicevamo scherzando: — Per dar fuoco, sappiamo anche noi — . In principio non ero tranquillo, e uscii fuori a studiare la finestra, ma il riflesso era poco e, di piú, parato da un rialto. — Non si vede, no no, — disse Otino. Allora parlammo un’altra volta delle facce del paese e di quelli che ave-
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