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sbocchi, non sporgendomi mai contro il cielo. Sapevo cos’era uno sparo e il suo sibilo.

Nel crepuscolo feci il Tinella e la ferrata. Mentre aspettavo nella melma fra gli ontani, sentii lo stantuffo del treno. Passò adagio, ansimante, un lungo merci locale, e intravidi qualche grosso soldato tedesco in piedi sui predellini. che viaggiassero mi parve buon segno, voleva dire che la zona era ancora tranquilla.

Saltai la ferrata e cercai la collina di Otino. Tra le gaggie era difficile orientarsi, ma le creste stagliavano nette. Presi un sentiero che mi parve il buono e lo salii, tendendo l’orecchio sulle voci dei grilli se udissi passi o scrosciare foglie. Intanto in alto pullulavano le stelle.

Otino non lo trovai ma la collina era quella. Ero stanco, affamato, strascinavo le scarpe sui solchi. Mi vidi innanzi un casotto in una vigna, di quelli per guardia dell’uva. Questo casotto era fatto in muratura, senza porta; c’entrai nel buio e, vincendo il ribrezzo, mi sedetti per terra. Mi appoggiai sopra il sacco.

Mi svegliai ch’era notte profonda, intirizzito e indolorito la schiena e la nuca. Non lontano un cane abbaiava, lo immaginai randagio nella notte e attanagliato di fame. Dalla porta non entrava tanta luce da veder la campagna. In quel buio la voce del cane era la voce di tutta la terra. Nel dormiveglia sussultavo.

Per non essere visto uscir fuori, me ne andai prima dell’alba. Si levava la luna. M’accorsi volgendomi indietro che il casotto era una semplice cappella abbandonata; restava ancora un vetro rosa screpolato. «Nemmeno a cercarla», pensavo. Dissi in silenzio una vecchia parola.

Dietro alla luna venne l’alba, e avevo freddo, avevo fame e paura. Stetti accucciato in un campo di grano, maledicendo la rugiada, pensando a quei morti e a quel sangue. «Pensarci è pregare per loro», dicevo.

A luce chiara ritrovai le case basse, diedi alle donne la notizia. Otino era andato in campagna. Chiesi il permesso di aspettarlo in un fienile. Mi diedero pane e minestra, e mangiando tranquillavo le donne sulla portata della strage. — Rastrelleranno solamente oltre Tinella, — dicevo, — tant’è vero che ho potuto passare.

Seguirono giornate di vento che spazzavano i versanti, e di lassú si vedevano le creste successive, gli alberelli minuti, le case, i filari, fino ai boschi lontani. Otino m’indicò il campanile del san-


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