Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/124


motori partirono con fracasso, valicarono il colle, sparirono. Sentii cantare d’improvviso.

Rimasto solo — il pomeriggio avanzava — m’informai dai paesani. Avevo fatto un giro inutile: di bivio in bivio ero andato riaccostandomi al Tanaro; bisognava che tornassi di parecchi chilometri e prendessi la valle, che poi dovevo risalire sempre tendendo a un campanile lassú in mezzo ai boschi, da cui passava lo stradone e si vedevano piú oltre le vere colline, le mie. Difficilmente ci arrivavo di stanotte. Ma potevo dormire al santuario, disse una donna.

Chiesi se c’erano pericoli. Qualcuno sorrise. — Voi siete di qui. La casa può cascare in testa a chiunque Ma la donnetta disse no, non se passavo dal santuario.

A metà pomeriggio ero disceso al fondovalle. Adesso che sapevo del campanile lassú, non temevo di perdermi. Andavo cauto, zoppicando un poco, trascinando il piede, come per essere piú innocuo. Andavo in senso inverso al mattino, passavo sentieri, piccole forre, una croce di legno rizzata per voto. Il cielo altissimo era chiaro. A metà costa di quella collina, mi attendeva un gruppetto di case nitide, sullo stradone per cui mi arrampicavo. Avevo già raggiunto e superato un contadino coi suoi due buoi aggiogati. Mi raggiunse a sua volta il ruggito di un motore d’autocarro, mi volsi e vidi la gran nuvola di fumo; poi comparvero, due grossi furgoni, veloci e svolazzanti, pieni di baschi grigioverdi e cartuccere e facce scure. Chinai la testa alla ventata. Se mi avessero sparato una scarica addosso, l’urto e il fragore eran gli stessi.

Non si voltarono a guardarmi, erano spariti. Mentre seguivo mentalmente la volata dei fascisti — mi chiesi se andavano fino al santuario, se qualcosa accadeva nei paesi lassú — pensavo ancora all’impressione di scoppio, di bomba, che m’avevano fatto.

Ma un colpo esplose, vicinissimo, in capo alla strada. Una raffica e un colpo. Poi urlacci, altri colpi di fuoco. I motori s’erano fermati; l’aria vibrava dei ronzíi dolenti delle pallottole. — Arrendetevi, — urlò una voce. Ci fu una pausa, un silenzio profondo, poi ripresero i tonfi e gli scoppi, e i sinistri ronzii come fili d’acciaio guizzanti sui pali delle vigne.

Ero saltato dietro i tronchi, e ad ogni colpo indietreggiavo, mi chinavo, mi appiattivo nell’erba; nelle pause correvo a ritroso la strada. Il crepitio continuava, botte nette e mortali. Vidi in fondo alla strada quel contadino, fermo insieme ai suoi buoi.


120