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Si volse all’altro e disse: — Guarda.

Allora dissi: — Il mio paese è laggiú.

— Non è vero che vieni da Chieri, — riprese, — qui dice Torino.

— Stavo a Torino, poi a Chieri.

Mi guardarono storto. — Ti conosce qualcuno?

— Mi conoscono a casa.

Si scambiarono occhiate. Quello dietro, un viso ossuto, scosse il capo. Non abbassavano i fucili.

— Sentite, — dissi incontenibile, — siete i primi che incontro. Sono scappato da Torino perché mi cercano i tedeschi.

Di nuovo quel freddo sorriso. — Tutti vi cercano i tedeschi, a sentir voi.

— Andiamo, — mi dissero.

In paese vidi un crocchio di donne davanti alla chiesa. Camminavo tra i due; non alzai gli occhi alle finestre e ai fienili. In un vicolo era fermo un furgoncino e due giovanotti, militari in tuta, gli facevano guardia. Una gallina ci tagliò la strada.

Davanti a una porta un uomo alto, in stivali e giacchetta di cuoio, rivoltella alla cintola, parlava a una ragazza che teneva in braccio un bimbetto. Rideva e festeggiava il bimbo.

Al nostro passo si voltò, e ci guardò. Aveva al collo un fazzoletto, capelli e barbetta ricciuta. Era Giorgi, il fratello dell’Egle. Lo riconobbi appena smise di sorridere.

Mosse un passo e ammiccò. Gridai: — Giorgi.

— Lo conosco, — dissi ai due.

Quando fummo vicini, ridevo. — Questa poi, — disse lui.

— I nostri incontri sono sempre storici, — gli dissi quando fummo in disparte, seduti su un muricciolo.

Mi diede una sigaretta. — Che cosa fa, sempre in borghese, sulle strade del mondo? — Parlava con quel tono seccato, di beffa, ch’era suo.

— Cosa fa lei nei miei paesi? — dissi ridendo.

Ci raccontammo i nostri casi. Non gli dissi che ero stato fuggiasco. Gli dissi che andavo dai miei, che avevo visto sua sorella, che a casa sua lo credevano a Milano. Sorrise fumando, sulla mano raccolta. — Di nessuno si sa bene dove stia in questi tempi, — osservò. — C’è il suo bello.

Una grigia automobile sbucò fuori da un cortile e andò a fermarsi all’uscita del paese. Era guidata da un ragazzo armato.


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