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gliare, non ci avevo capito gran che — era tutto pieno di preghiere in latino, di salmi e gloria, di giaculatorie, vangeli, e meditazioni. Vi si leggeva di feste, di santi; per ogni giorno c’era il suo, decifrai storie orribili di patimenti e di martiri. C’era quella dei quaranta cristiani buttati nudi a morire sul ghiaccio di uno stagno ma prima il carnefice gli spezzava le gambe; quella di donne fustigate e arse vive, di lingue tagliate, d’intestini strappati. Stupiva pensare che le pagine ingiallite di quell’antico latino, le barocche frasi consunte come il legno dei banchi, contenessero tanta vita spasmodica, grondassero di un sangue cosí atroce e cosí attuale. Padre Felice mi disse che del breviario bisognava recitare soprattutto l’officio. Delle storie dei santi disse che molte erano entrate in quelle pagine chi sa come, eran pura leggenda, e che da un pezzo si attendeva che l’autorità rivedesse il testo e lo sfrondasse. A leggerlo bene ogni giorno ci voleva troppo tempo.

— Ma quello che importa, — gli dissi, — non sarà se un martirio è avvenuto davvero. Si vuole che chi legge non dimentichi quanto costa la fede.

Padre Felice annuí, chinando il capo.

— Piuttosto, — gli dissi, — serve a qualcosa rileggere sempre le stesse parole?

— Trattandosi di preghiere, — disse padre Felice, — non conta la novità. Tanto varrebbe rifiutare le ore del giorno. Nel giro dell’anno si riassume la vita. La campagna è monotona, le stagioni ritornano sempre. La liturgia cattolica accompagna l’annata, e riflette i lavori dei campi.

Questi discorsi mi calmavano, mi davano pace. Era il mio modo di accettare il collegio, la vita reclusa, di nascondermi e giustificarmi. Le poche volte ch’ero uscito per Chieri e mi ero spinto fino al viale d’accesso, non avevo veduto che piazzette tranquille, bassi portici, e chiese, rosoni, portali. Era incredibile che in questo e negli altri paesi, dappertutto in provincia, scorresse il sangue, si tendessero agguati, non ci fosse piú legge. Quel vecchio mondo del culto e dei simboli, della vigna e del grano, delle donnette che pregavano in latino ma capivano in dialetto, dava un senso ai miei giorni, alla mia vita rintanata. Non c’era nulla di diverso: vedevo bene che dai boschi ero passato in sacrestia.

Ma neanche stavolta durò. Sentii parlarne in refettorio. Lo spi-


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