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— Capisco, — aveva mormorato Stefano.

Ora Stefano passava davanti alla casa di Concia e pensava all’aerea prigione lassú, a quel breve spazio campato nel cielo, che nei vacui sereni del mattino guardava a strapiombo sul mare. Un’altra parete s’era aggiunta al suo carcere, fatta questa di un vago terrore, di una colpevole inquietudine. Sul muricciuolo lassú sedeva un uomo, un compagno, abbandonato. Non c’era poi molto rischio nel concedergli una parola e visitarlo. L’appello aveva detto «solidarietà»: dunque usciva da quel gergo fanatico e quasi inumano, che in altri tempi si sarebbe espresso col precetto, piú dolce ma altrettanto grave, di visitare i carcerati. C’era pure qualcosa che faceva sorridere in quella «franca discussione» e in quei «diritti» — e forse il maresciallo quel giorno in bicicletta aveva sorriso ricordando parole consimili — ma la gaiezza non vinceva il rimorso. Stefano ammise di esser molto vigliacco.

Per vari giorni ebbe paura che Barbariccia tornasse a cercarlo, e ingannava la sua fantasia pensando all’anarchico e a Giannino insieme, carcerati entrambi ma risoluti come lui non era. Fantasticava il mondo intero come un carcere dove si è chiusi per le ragioni piú diverse ma tutte vere, e in ciò trovava un conforto. Le giornate si accorciarono ancora, e riprese a piovigginare.

Da quando era finita la stagione dei bagni, Stefano non si lavava piú. Nell’abbandono della stanza passeggiava inquieto la mattina per scaldarsi, e si radeva qualche volta dal malumore, ma da molte settimane non s’era piú veduto il torso nudo né le cosce. Sapeva d’aver persa l’abbronzatura estiva, e che un biancore sudicio era ormai la sua pelle; e quel giorno che a forza aveva riposseduta Elena, se n’era staccato al piú presto e rivestito nel buio, temendo, se indugiava, di puzzare.

Elena non era piú tornata, che lui sapesse. Passando nella bottega a pagare il mese, Stefano l’aveva veduta servire impassibile un avventore e poi sorridere con un certo distacco agli sforzi della grassa madre che voleva spiegare a lui qualcosa in dialetto. Eppure Stefano se n’era sentiti gli occhi addosso tutto il tempo, in una tensione non piú dolce né struggente ma di oscuro e quasi astioso possesso. Stefano d’un tratto le aveva ammiccato. Elena aveva abbassato il viso, scarlatta. Ma ancora non era tornata.

Nella semitenebra delle piogge spazzate soltanto da burrasche livide, Stefano toccò il fondo della solitudine. O rimaneva nella


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