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Immaginò che avesse gli occhi dilatati dal terrore e le cercò la gota con la mano. Si sentí invece ghermire furiosamente e baciare e frugare in tutto il corpo. Si sentí baciare sugli occhi, sui denti, e gli sfuggí la sigaretta. C’era qualcosa d’infantile in quell’orgasmo di Elena. La sigaretta era caduta a terra. Stefano infine saltò giú dal letto, tirando Elena con sé. In piedi, cercò di darle un bacio piú calmo ed Elena aderí con tutto il corpo fresco al suo. Poi si staccò e prese a vestirsi.
— Non accendere, — disse. — Non mi devi vedere cosí.
Mentr’Elena ansava infilandosi le calze, Stefano seduto contro il letto taceva. Sentiva freddo ma era inutile rivestirsi.
— Perché hai fatto questo? — balbettò Elena un’altra volta.
— Come...
— Lo so, non mi vuoi essere obbligato, — interruppe Elena in piedi, con la voce strozzata dalla camicetta. — Tu non vuoi niente da me. Nemmeno che ti faccia da mamma. Ti capisco. Non si può voler bene quando non si vuole bene — . La voce si fece piú chiara e sicura, liberandosi. — Accendi.
Stefano, nudo e imbarazzato, la guardò. Era un poco rossa e scarmigliata, e si cingeva a casaccio la gonna come ci si cinge un grembiale da cucina. Quand’ebbe finito, levò gli occhi cupi, quasi sorridenti.
Stefano balbettò: — Vai via?
Elena gli venne incontro. Aveva gli occhi pesti e gonfi: era ben lei.
Stefano disse: — Scappi ma poi ti metti a piangere.
Elena contenne una smorfia e lo guardò in modo bieco. — Tu non ti metti a piangere, poveretto Stefano la cinse, ma Elena si divincolò. — Vai a letto.
Dal letto le disse: — Mi sembra quand’ero bambino...
Ma Elena non si chinò né gli raccolse le coperte. Disse soltanto: — Verrò a scopare come prima. Se avrai bisogno di qualcosa, chiamerai. Farò portare via l’armadio...
— Stupida, — disse Stefano.
Elena sorrise appena, spense la luce e se ne andò.
Negli ultimi istanti, alla luce, la voce d’Elena era stata dura, arrangolata, come di chi si difende. Stefano, nudo, non aveva risposto. Avrebbe voluto udire un singhiozzo, ma qual è quella
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