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l’indomani? Senza lotta, s’accorse Stefano, non si può stare soli; ma star soli vuol dire non voler piú lottare. Ecco almeno un pensiero che gli teneva compagnia, una precaria compagnia che sarebbe ben presto cessata.
Stefano si alzò e accese la luce, e gli vacillarono gli occhi. Quando li riaprí, c’era Elena sulla porta e richiudeva con la schiena le imposte.
Senza parlarle dell’armadio, le chiese se voleva restare per tutta la notte. Elena lo guardò tra incredula e stupita, e Stefano senza sorridere le andò incontro.
Nel lettuccio ci stavano appena, e Stefano pensò che fino all’alba non avrebbe dormito. Addossato a quel corpo molle, fissava il vago soffitto tenebroso. Era notte alta e il respiro leggero di Elena gli sfiorava la spalla. Di nuovo era solo.
— Caro, in due non ci stiamo. Andrò via, — aveva detto e non s’era ancor mossa.
Forse s’era assopita. Stefano tese il braccio a tentoni cercando le sigarette. Elena lo seguí nel movimento abbandonandosi, e allora Stefano si sedette nel letto, si portò la sigaretta alle labbra e guardò il buio, indeciso se accendere. Quando accese il fiammifero, le palpebre chiuse vacillarono con le grandi ombre; Elena non si svegliò, perché non dormiva.
Stefano, fumando, si sentí fissato dagli occhi socchiusi, come per gioco.
— Stasera Catalano ha veduto il tuo armadio.
Elena non si mosse.
— Ti abbiamo veduta venire: eravamo qui al buio.
Elena gli ghermí un braccio.
— Perché hai fatto questo?
— Per non comprometterti.
Era tutta sveglia. Stiracchiò il lenzuolo, si contrasse, gli sedette accanto. Stefano liberò il braccio.
— Credevo dormissi.
— Perché hai fatto questo?
— Io non ho fatto niente. Gli ho mostrato l’armadio — . Poi riprese con durezza: — Il diavolo insegna a non fare il coperchio. Le ipocrisie non mi piacciono. Io sono contento che ti abbia veduta. Non so se lui l’abbia capita, ma i misteri finiscono tutti cosí.
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