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sentí muovere un poco, camminare; e poi lo vide venire alla porta, appoggiarvisi contro, mostrando il profilo sul vetro.
— Vi ha molto seccato, quest’oggi? — chiese con voce atona. — Non capisco perché vi ho condotto in quella casa.
Stefano esitò. — Ve ne ringrazio, invece. Ma credo che voi, vi ci siate seccato.
— Non dovevo condurvi, — ripetè Giannino.
— Siete geloso?
Giannino non sorrise. — Sono seccato. Di ogni donna ci si deve vergognare. È un destino.
— Scusate, Catalano, — disse Stefano pacato, — ma io non so nulla di donne e di voi. Ce ne sono tante in quella casa, ch’ero piuttosto imbarazzato sul contegno da tenere. Se volete vergognarvi, spiegatemi prima il perché.
Scomparve il profilo di Giannino che si volse di scatto.
— Per me, — continuò Stefano, — anche la piccola Foschina è vostra figlia. Non ne so niente.
Giannino rise in quel modo nervoso. — Non è mia figlia, — disse a denti stretti, — ma sarà quasi mia cognata. È la figlia del vecchio Spanò. Non lo sapete?
— Non lo conosco questo vecchio. Non so niente.
— Il vecchio è morto, — disse Giannino, e rise franco. — Uomo robusto, che a settant’anni generava. Era un amico di mio padre e sapeva il fatto suo. Quando è morto, le donne si sono prese in casa la ragazza e la figlia, perché la gente non sparlasse, per fare la guardia alla parente, per gelosia. Le conoscete, le donne.
— Ma no, — disse Stefano.
— L’altra figliuola di Spanò che ha trent’anni, mi tocca per moglie.
Mio padre ci tiene.
— Carmela Spanò?
— Vedete che siete al corrente.
— Tanto poco che credevo, scusate, che ve la intendeste con Concia.
Giannino stette un poco taciturno, volto ai vetri.
— È una figliola come un’altra, — disse infine. — Ma è troppo ignorante. L’ha tolta il vecchio dalle carbonaie. Ci voleva la vecchia Spanò per pigliarsela in casa.
— È arrogante?
— È una serva.
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