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mi è parsa cosí schifa come a voi. Direi piúttosto che ha un’aria di zingara.
Usciva allora Gaetano sulla soglia e dovette sentire, perché gli si acuirono gli occhietti. Stefano entrò noncurante.
Mentre in piedi scorreva il giornale spiegazzato sul tavolo, venne la vecchia ostessa e gli disse che era passato il maresciallo poco prima e aveva chiesto di lui.
— Per che cosa?
— Pare che non avesse fretta.
Stefano sorrise, ma gli tremarono le gambe. Una mano gli strinse la spalla. — Coraggio, ingegnere, voi siete innocente — . Era Gaetano che rideva.
— Insomma, è venuto sí o no?
Due altri della compagnia che già si facevano un caffè nell’angolo, levarono il capo. Uno disse: — State in guardia, ingegnere.
Il maresciallo ha le manette elettriche.
— Non ha lasciato detto niente? — chiese Stefano, serio. La padrona scosse il capo.
La partita di quella mattina fu esasperante. Stefano stava sulle spine, ma non osava cessare. Salutò Giannino con un cenno quando venne, e gli parve di guardarlo con occhi ostili: ne incolpò il dispetto di esser stato tenuto all’oscuro del fidanzamento. Ma sapeva ch’era invece il disagio di un altro segreto, di quel foglio di carta che il maresciallo aveva forse già nelle mani, e l’avrebbe, inesorabile, riportato nel carcere. Dentro l’angoscia di questo pensiero, anche quello di Concia cominciò a tormentarlo: se davvero Giannino non aveva avuto occhi per lei, non aveva piú scuse e doveva tentare. Sperò sordamente che non fosse vero; si disse che Giannino l’aveva sedotta, che l’aveva abbracciata sotto una scala almeno, durante le visite all’altra. Perché se proprio nessuno l’aveva mai desiderata, le sue passate fantasie diventavano infantili, e avevano avuto ragione i sarcasmi di tutti.
Giannino, piegato sulle carte di Gaetano, gli diceva qualcosa. Stefano buttò le sue e disse forte: — Volete prendere il mio posto, Catalano? Temo che pioverà e ho la casa spalancata — . Uscí, sotto gli sguardi di tutti.
Uscí nel vento polveroso, ma la strada era deserta. Giunse in un attimo davanti alla caserma, tanto i pensieri gli galoppavano in cuore. Sotto la finestra accecata di una cella, era ferma una vec—
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