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spia — c’era il pane, la spesa, la conta, il bidone. «Purché duri» dicevo. Si poteva perfino comprarsi delle cicche.

Mi era rimasta una paura dal mattino: non aver tempo di pensare alle risposte. Non poter regolarmi su quel che sapevano. Se hanno preso anche Pippo, dicevo, è finita. Poi dicevo: ma se mi hanno arrestato vuol dire che sanno.

Non è star chiusi, la prigione, è l’incertezza. Camminavo su e giú per la cella. Mi venivano in mente i compagni, il Maggiore, i discorsi di Scarpa. «Meno male che è come esser morti, — dicevo. — Quel matto».

Poi tornavo a distendermi e ci pensavo da principio. Dunque Scarpa è scappato, dicevo. Sí o no? Oltre Giuseppe chi sapeva dove stavo? Mi venne in mente quella notte che pioveva e l’oste sbronzo. Quella faccia da capra. Ma, se mai, conosceva Carletto, e non me. Il Maggiore? Ma quello non si metteva di certo nei rischi. Mi venne freddo a quest’idea che la colpa fosse mia. Se qualcuno di loro ha parlato e hanno preso i compagni non mi resta che buttarmi nel Po.

Pensare al Po mi mise in mente che una volta c’ero andato per buttarmici davvero. Non piú tardi di marzo, per via di quell’altra. Me la rividi nella strada, quella sera del Plaza, che parlava di Amelio, irritata e cattiva. Ci pensai d’improvviso che anche Amelio era dentro. «Questa volta, — pensai, — siamo pace». Ero disteso sulla branda. Chiusi gli occhi e dissi «Amelio».

Verso sera batterono i ferri. Cominciarono in celle lontane. Un martellio che sembrava una canzone — si sentiva una sbarra picchiar le inferriate, come fosse ammattita, cantare e picchiare, e rumore di chiavi e di porte. S’avvicinò s’avvicinò; s’aprí la porta. Entrò una guardia e, mentre un’altra mi diceva «Buona sera», quella andò alla finestra e picchiò sulle sbarre, per lungo e per largo. Poi se ne andarono chiudendo con un colpo. Capii ch’era notte.

Che ci fosse qualcuno che pensasse a scappare, mi pareva impossibile. Quella era come la campana della chiesa — ci facevano un po’ di baldoria per mandarci a dormire contenti. Rimasi in piedi, alla finestra, a fumar l’ultima, e attraverso i listelli guardavo il sereno. Da quella fetta mi pareva di conoscer tutta Roma. Era l’ora che uscivo e andavamo nel centro, l’ora che tutto s’accendeva, che la gente cenava, e si ballava, si beveva, si suonava


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