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all’argomento. Qui c’è Pabilo che sa chi noi siamo. Lei, Maggiore, gli dica.

Allora il vecchio si appoggiò sulla poltrona. Mi guardò con gli occhiali piú lucidi. Cominciò a farmi i complimenti. Disse che gente come noi ce ne voleva. Che ce n’era ancor poca. Ch’eravamo dei santi. Ma la nostra magagna era stare nascosti. Perché non unire le nostre forze con quelle degli altri italiani? che cos’è che volevano gli altri italiani? Farla finita coi violenti, coi cafoni, coi ladri, ritornare al rispetto di sé e alla legge, restaurare l’Italia e le sue libertà.

— Rovesciare il fascismo senza far altri danni, — interruppe Carletto.

Il Maggiore strizzò un occhio e riprese il discorso. Già una volta, mi disse, s’era lasciata mano libera alle masse. Risultato?

Io gli dissi che noi eravamo le masse, e il risultato lo sapevano i borghesi come lui.

Il Maggiore sorrise di nuovo. Disse che certo le radici del fascismo sono vaste, ma che noi incutendo paura alla gente gli davamo vigore. Dovevamo discutere e farci conoscere. Dovevamo impegnarci a un programma comune. Questo, mi disse, avrebbe chiesto ai nostri capi, avvicinandoli.

Era un vecchio accidenti. Cominciavo ad accorgermene. Furono loro questa volta a guardarmi aprir bocca. Vedo ancora Giulianella che schiaccia la cicca, nervosa.

Dissi, cercando di star calmo, che da un pezzo si faceva qualcosa. Che non io, ch’ero niente, ma i grossi passavano il tempo a discutere. Che l’impegno comune doveva valere per tutti. Ch’era inutile farsi l’illusione che i bei tempi tornassero, e se noi facevamo paura c’era chi faceva pietà. Mi divertí veder le facce quando dissi che da un pezzo si trattava.

Ma il Maggiore sorrise dubbioso. Disse che nulla è mai fiorito fuori tempo e che in queste faccende ci vuole buon senso. Intanto era lieto di avermi parlato e mi pregava di pensarci e di parlarne. Ci propose di bere alle nostre speranze.

Per la chitarra ci vedemmo giorni dopo. Non piú da Beppe questa volta, ma sul terrazzo della casa di Luciano. Non c’ero mai stato, e Giulianella ci mostrò di lassú mezza Roma. Il Maggiore ascoltò la chitarra, discusse con me, mi spiegò che i partiti sono


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