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Poi mi disse: — Anche tu sei un matto. Ti conviene il lavoro che fai? Se rischi il muro o la galera, chi ti paga?

— Siamo tutti sfruttati...

— Chi ti sfrutta? la Gina?

Parlava brusco e divertito. Avevo voglia di rispondergli.

— Voglio dirti una cosa, — mi fece. — C’è questa sola differenza tra noi due: quello che a me è costato mesi di sudori per decidermi e libracci e batticuori, tu e la tua classe ce l’avete nel sangue. Sembra niente.

— Difficile è stato trovarli, i compagni.

— E perché li hai cercati? Speravi qualcosa? Li hai cercati perché avevi l’istinto.

— Quei pochi libri vorrei leggerli. Se un bel giorno le scuole saranno per noi...

— Non è molto il guadagno dei libri. Ho visto in Spagna intellettuali far sciocchezze come gli altri. Quel che conta è l’istinto di classe.

Parlavamo cosí, dentro l’orto. Non era buio ma i lampioni s’accendevano a distanza. Qualche finestra s’era accesa. Pensare che Scarpa partiva domani, mi faceva un’invidia. Tante cose poteva insegnarmi.

Giuseppe venne ch’era notte e ci disse: — Qualcuno ha parlato.

Era successo che la bettola era stata piantonata. Un compagno li aveva veduti che si davano il cambio, uno a un tavolo l’altro sull’angolo. Non avevano preso ancora nessuno, aspettavano i grossi. — Prenderanno il padrone, — ci disse, — che non sa dov’è Scarpa. Voi compagni, occhi aperti.

Se ne andò a passi lenti, come era venuto. Scarpa mi disse che il padrone in questi casi cade sempre; ma a lui sarebbe piaciuto vedere nei guai qualche testa piú dura. — Allora andiamo a far due passi? — mi propose.

Io guardai dalla porta se non c’erano facce. — Vieni anche tu, — dicemmo a Gina, che aspettava solo questo.

Salimmo su per la collina, dalla chiesa. Gente andava e veniva, e facevano baccano. Dalle osterie, a quella luce, si sentiva odor di vino. Chi non gridava, era soltanto a bocca piena. Su tutta Roma c’era un cielo nero e acceso. — Se stanotte magari ci pigliano, — dissi, — l’ultima cosa che sapremo sarà questo.

— Questo cosa? — disse Gina.


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