Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/453



Invece scendemmo al Flaminio, in quel caffè dov’ero entrato il giorno prima. «È destino, — pensavo, — che rincasi a questa ora».

— Stai su, — disse Scarpa, — è una guerra anche questa.

Ma non aveva piú la faccia cosí viva. Gli vedevo le rughe, quelle rughe di magrezza, che raccontavano quante ne avesse passate. La sua forza era tutta negli occhi. Mentre sorbiva il caffelatte, mi saltò in mente la gola di Amelio buttato sul letto.

— Soltanto a vederci si capisce chi siamo, — dissi. Per fortuna non c’era nessuno.

Scarpa gettò un’occhiata smorta alla cassiera e serio serio borbottò: — Tutti i compagni hanno la faccia di chi dorme sotto al letto. È questa vita che facciamo.

Io presi grappa nel caffè, ripensando a quel destino. Ma capii che una volta l’avevo subito, mentre adesso sapevo per chi lavoravo. Anche su questo avrei voluto sentir lui.

Tornammo a casa, e per la strada lo vedevo inquieto. Gettava occhiate alle nuvole e ai pini del colle.

— Questa Roma, — mi fa. — Non si riesce a capirla. Hanno tutti una testa. Parlar con loro sembra d’essere al governo. Gira gira, il fascismo ce l’hanno per casa. Gli fan la guerra sopra il suo terreno. Sono tutti paesani. Che faccia abbia preso nel mondo, nemmeno si sognano.

Gli chiesi allora se non erano compagni.

— Di parole ne dicono tutti, — mi fece. — Tu non c’eri stanotte — . Mi guardò divertito e assonnato. — C’è il suo bello a discutere. Tu non sai quant’è bello.

Io gli dissi che intanto era a Roma che avevo capito.

— Ma è cosí, — disse lui. — Succede sempre. A Roma sembra tutto piú facile. È successo anche a me di capire, quand’ero studente. Poi, per disgrazia e per fortuna, ho visto il resto.

Che Gino Scarpa avesse fatto lo studente, mi stupí. Sembrava un uomo come noi, soltanto piú in gamba. Intanto eravamo arrivati.

— Allora Roma la conosci, — gli dissi.

— Dai miei tempi è cambiata, — mi disse ridendo. — I romani, non cambiano.

Gina ci accolse sulla porta, contenta. Ci aspettava per farci mangiare un boccone, ma le dissi che cascavo. Gino Scarpa si mise


449