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— Non parti stasera?

— Sta’ buono. Ho voluto vedere la ditta.

Giuseppe disse: — Siamo intesi, — e se ne andò. Sentii che Scarpa mi guardava divertito. Gina era sempre in faccia a Linda e non fiatava.

— C’è voluto Carletto per dirmi la strada. Mi dispiaceva non poterti salutare. Qui si lavora notte e giorno, a quanto vedo.

Si alzò in piedi e ci disse: — Pablo è sempre lo stesso. Vuole che porti i suoi saluti ai torinesi, e non lo dice. Sono stupida a farlo. Non ha bisogno di nessuno ma gli servono tutti.

Disse l’ultima frase con la voce di un’altra. Scarpa mi disse: — Tu hai da fare. Noi andiamo — . Ma fu allora che Linda si mise a gridare e rideva e non era piú lei — Non ci sono segreti con Pablo, si sa. È un ragazzaccio che ha bisogno della mamma. Qui lo sappiamo almeno in tre. Senza frutta, padrona. Levargli la frutta, quando ha fatto i capricci.

— È questo che avevi da dirmi? — le chiesi cattivo. Ogni cosa era vera. Diedi un’occhiata a Gina, se ridesse anche lei. Ma la vidi raccolta e intontita e furente. Bastò per calmarmi. Dissi a Scarpa: — Lascia che le parlo un momento.

Linda mi disse: — Non occorre. Me ne vado — . poi ridendo: — Volevo soltanto sapere chi sei.

Si fermò sulla porta; ci guardò tutti quanti.

— Però potevi trattar meglio una tua amica. Sembra di entrare all’osteria, in questa casa.

Sentii Gina raccogliersi e dire: — Perché? Quel che aveva da dirle gliel’ha detto stanotte.

Linda disse: — Se tutti permettono, voglio parlarti.

— Non c’è bisogno, puoi parlare in faccia a tutti.

Allora Linda scosse il capo e mi guardò. Levò la mano e saltò fuori, era andata. Ultima cosa, avevo visto il braccialetto.

Scarpa non c’era, era tornato nella stanza. Gina, appoggiata al banco, non parlava. Non mi guardò. Guardò con quegli occhi la porta e la strada.

— Mi dispiace per gli altri, — dissi brusco.

Gina disse: — Se torna l’ammazzo.

Tutti e due fissavamo la porta. — Le sai queste cose, — le dissi.

— Non c’è niente di nuovo. C’è soltanto che vali di piú.

— Se ritorna l’ammazzo.


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