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— Fumiamoci l’ultima buoni, — mi disse.

Cosí fumammo, e guardavamo la finestra.

— Sei sicura che Amelio lo portano a Roma?

— Ci pensi ancora? — disse lei. — Se lo sapevo stavo zitta.

— Lo porteranno alla Lungara, — dissi. — Quello è il Plaza per noi. Quando parti?

— Questa sera alle nove. A Torino sarò sola.

Parlava appoggiata alla mia spalla e tremava nel fresco. Fece la voce di chi piange e mi guardava.

— Se vieni a Torino, — mi disse, — verrai a cercarmi?

Buttai la cicca e mi staccai. — Serve a qualcosa?

Mi guardò con la faccia imbronciata. — Tu non mi hai mai voluto bene, — disse piano.

Quando fui sotto nella sala, ci pensai. Non mi ero nemmeno voltato alle scale. Due camerieri in grembialone buttavano in aria tappeti e sofà. Erano aperte le finestre, e tutto acceso, ma la luce di fuori scoloriva la falsa.

M’immaginai Lubrani steso che dormiva. Me lo vidi in mutande abbracciato con Linda. Quel che lasciavo in quelle sale era un’idea, una sciocchezza. Era meglio la strada libera, la gente che andava.

Al Flaminio mi fermai a prendere un caffè. Povera Linda, anche con lei l’unico modo era di smettere. Adesso era lei che diceva parole. Pensavo al piacere carogna d’un tempo se avessi saputo. Ma che cos’era tutto questo dopo Amelio? Forse Linda l’aveva capita.

Saltai intanto sulla rossa e passai da Giuseppe. Per non dare nell’occhio aspettai sotto il viale e pensavo addirittura che avessero preso qualcuno. Mi fece bene andargli incontro quando uscí.

Era successo che dovevo correre subito in negozio. Era arrivato uno da fuori e bisognava dargli casa. Ieri notte mi avevano cercato dappertutto. Ero il solo che disponessi di due letti, e dovevo prestarmi.

Cosí conobbi Gino Scarpa, che rientrava dalla Spagna. Il suo nome era un altro ma chi lo sapeva? Lo trovai già in negozio, seduto, che scherzava con Pippo.

— Sono Pablo, — gli dissi.

Era magro e bruciato di sole, gli ridevano gli occhi. Disse subito; — Ho sonno, mettetemi a letto.

Mandai Pippo a comprare, e parlammo con Gina. Forse era


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