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XVIII.

Poco prima di giorno mi disse di andarmene. — Sai com’è, ti conosco. Non sapresti capire — . Io la sapevo dalla sera questa cosa, ma ero fiacco.

— Lui saprebbe capire? — le chiesi sugli occhi.

Lei si girò, non disse nulla, e si stirava sospirando.

— Lasciami fare un lungo sonno. Stanotte sarò in treno.

Mi rivestii sopra il tappeto, in piedi, e dalle persiane respiravo l’aria fresca.

— Roma è bella a quest’ora, — le dissi. — Quando a Torino me ne andavo avanti giorno, ero felice.

— Sei cattivo, — mi disse.

— Ero solo un ragazzo. Se mi avessero detto chi prendeva il mio posto... Linda, perché sei ritornata?

— Ci stai male?

— Ci sto male per te.

Allora lei saltò dal letto, e mi abbracciò. Non voleva che me ne andassi pensandola male. Non voleva che andassi a bere del vino. Non capiva perché non capivo le cose.

— Senti bene, — le dissi. — Stanotte è andata come è andata. So quanto vali e quanto costi. Tu sei la stessa ma io no.

Quel braccialetto mi premeva sulla nuca. Mi staccai.

— Quanto ti costa questa stanza? — le dissi.

Quella fu l’ultima sciocchezza. Lei rise. S’era seduta sopra il letto e mi guardava.

— Non vuoi capire o non capisci? — brontolò.

Spalancai le persiane — sporgendo la testa c’era un cielo già chiaro.


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