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— Ma sul lavoro. Non andavi in fabbrica?

Gli spiegai dei tabacchi e del tempo perduto. Lui mi guardava con quegli occhi grigi chiusi. Dissi allora: — Vogliamo fidarci?

— chi non si fida, figlio bello? — disse lui. — Voglio sapere solamente che ti piglia. Chi conosci qui a Roma?

Allora dissi dove stavo e chi vedevo.

— E con loro non parli del ’20 e ’21?

— Non è gente che capisca molto. Ma ho letto una cosa — . E gli dissi che avevo veduto quei libri.

Lui non mi chiese di chi fossero, e parlò degli squadristi. Disse che prima erano gente comandata e ben decisa, che sapevano quel che volevano: fare fortuna. — Ma la guerra che ci fanno adesso è un’altra. Gli squadristi sono tutti a riposo. Non serve piú menar le mani. Abbiamo addosso la questura e i funzionari. Se mai sono questi che ti picchiano.

Quando mi chiese s’ero pronto, non gli seppi dar risposta. Ma una cosa che aveva era questa: piú che ascoltare le risposte, le troncava. Qualche volta io dicevo qualcosa; lui parlava già d’altro.

Alla fine mi disse che stessi tranquillo, che pensassi al mio negozio e vedessi Giuseppe. Nella stanza era notte.

Uscendo in strada ero tutt’altro che contento. Mi accorgevo che avevo parlato da scemo, ch’ero come un ragazzo, che quel vecchio e Giuseppe non erano mica del giro di Carletto. Quel che avevo voluto sapere non c’ero riuscito. Che mi avessero preso per spia, poteva anche darsi; ma mi accorgevo che per loro ero soltanto un chiacchierone. «Perché qui. Perché là. Se vogliamo fidarci. Perché i capi non si son fatti piú furbi», erano cose che a pensarci mi levavano il fiato. Girai per Roma ripensandoci, e cercando di capire. Però mi sembrava di esser stato sincero. Piú franco e piú sincero di loro, anzi. Gli avrei detto perfino di Gina, volendo. Poi pensai che Giuseppe potevo rivederlo, e che adesso era un altro discorso anche con lui. Ci pensai sopra un’altra volta, e andai a casa.

All’officina non ritornai cosí di brutto. Aspettai che venisse una giusta occasione. Di giorno lavoravo e la sera leggevo. Con Luciano e Carletto era sempre lo stesso discorso, ma specialmente da Luciano avevo cose da imparare. Lui sapeva per filo com’era andata la guerra di Spagna, e piú diceva piú capivo che quei rossi erano i miei.


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