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Trionfale; quattro o cinque ne trovavo all’ora morta, là davanti, mentre giocavano alle bocce. Mi fermavo a discorrere. Questi sí che capivano al volo una parola. — Siamo pronti se viene il momento, — dicevano. Chi piú chi meno avevan tutti quarant’anni. Si ricordavano dei tempi della guerra e degli scioperi. — Eravamo ragazzi, — dicevano, — non si è capito, a quell’età, quel che successe. Ma un’altra volta l’operaio non ci casca — . C’era uno giovane, Giuseppe, che a suo padre gli avevano rotta la testa. Lui sapeva perché gli squadristi l’avevano vinta. — Ci dicevano rossi ma non lo eravamo mica. Ci saremmo difesi. Li avremmo pagati. Dove i rossi ci sono sul serio, finisce un po’ diverso — . Quando gli chiesi se ce n’era adesso a Roma, lui mi disse: — Chi sa. A buon conto noialtri si aspetta.

Un pomeriggio mi condusse dal suo vecchio. Stava in un buco, al quinto piano di una casa sterminata. Non so perché, mentre salivo, mi pareva di aver già fatto una volta quelle scale. Si sentiva bambini gridare da tutte le parti, e quell’odore di sporcizia, di spezie e di caldo che si sente anche al mare. Giuseppe disse: — C’è un amico che vuole vederti, papà — . Il vecchio stava seduto in cucina e mangiava del pane. Masticava e guardava, a una luce cattiva, aggobbito sul tavolo. Non si mosse; Giuseppe disse a me: — Vogliamo sederci?

Toccò a me far le spese e spiegarmi. Né Giuseppe né il vecchio parlarono per primi. Misero fuori tre bicchieri e mi ascoltavano. Neanch’io non ero troppo chiaro, nel discorso. Dissi a quel vecchio che sapevo le sue idee e che volevo mi spiegasse qualcosa. Ero nuovo di Roma, dicevo. Lui mi ascoltava e mi guardava. Aveva gli occhi fermi e grigi come l’acqua.

— Chi conosci? — mi disse.

— Poi se ne parla, — gli risposi, e andai avanti.

Mi sarebbe piaciuto, dicevo, sapere cos’era successo nel ’20. Perché i capi non s’erano fatti piú furbi. Perché i rossi d’allora non erano rossi. Se adesso tutti erano andati a far la Spagna e se finiva anche laggiú come in Italia.

— Non ti ha detto qualcosa Giuseppe? — mi disse.

— S’è parlato, — risposi, — ma poco.

— Che vuoi che ti dica, — mi fece. — Vedi bene la vita che ci fanno. A Torino con gli altri non parlavi di quel che succede?

— Che Torino. Sapevo appena ballare.


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