Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/436


bisogno, — lui diceva, — ci sono loro e ci siam noi. Vinceranno alla fine, noi li avremo aiutati cosí.

— Se saremo ancora vivi, — ghignava Carletto.

Anche Gina ascoltava, senza dire mai niente. Ne sapeva ancor meno di me ma ci seguiva.

— Quant’è scemo e testardo quel Carletto, — le dissi una sera. — Ma perché non capisce che lavora anche lui per vivere?

— Perch’è gobbo, — mi fa.

Io stavo attento agli avventori del negozio, e cercavo di farli parlare. Quando entrava qualcuno in gamba, davo mano al giornale. — Come va questa guerra di Spagna? — dicevo. Ma Solino era il solo die mi desse risposta. Lui andava e veniva dall’osteria alla strada, masticava la sua cicca, si fermava a sputare. — ci sarà del lavoro, una volta finita la guerra, — diceva. — Buttan giú tante case — . Ma i piú giovani, la gente del ponte, ascoltavano appena. Non ce n’era uno solo che guardasse il giornale. «Accidenti, — pensavo, — o che invecchio o sono scemo. Una volta ero anch’io come loro e leggevo soltanto lo sport».

C’era dei giorni dentro Roma che il calore soffocava. Mi venne voglia di rivedere il mare. Provai qualche volta con Gina a salire sul tram, ma andavamo di domenica e la folla era peggio che a sera sul Corso. Anche arrivati, bisognava fare a piedi chi sa quanto per trovare due metri di sabbia scoperta. Ma sotto il sole era bello vedere quell’acqua. C’era dei giorni che sembrava un cielo unito, l’acqua e l’aria, e nuotandoci dentro si perdeva la vista. Gina restava sulla sabbia e mi aspettava. Certe ragazze che vedevo entrare in acqua, mi piacevano. «Chi sa se qualcuna va al largo e si spoglia», pensavo vedendole.

Poi le sere di mare tornavamo in città, e restavo a cenare e ballare con gli altri. Eran di nuovo in trattoria tutti quanti. Ci veniva anche Gina. Quelle sere, bevendo e ballando, tutto l’inverno mi tornava in mente, e il Paradiso e i camion. Pensavo che niente ci fosse di nuovo, che invece di Gina girasse per Roma con me qualcun altro, e ridessimo andassimo insieme, bevessimo il vino. Ero certo che un giorno l’avrei riveduta; che qualcosa sarebbe successo. Poi mi tornava in mente Amelio, e ci soffrivo.

Quell’officina sull’Aurelia mi piaceva. Si traversavano dei prati a montagnola, era uscire da Roma. Vulcanizzavano a buon prezzo i copertoni e far la strada conveniva. Ci lavoravano operai del


432