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l’erano passata in campagna. Ma mi tenni e gli dissi che i libri li avevo buttati nel Tevere.
— Quali libri?
— Oh smettila, scemo, — gli dissi. — Può succedere a tutti di andare in campagna. Li avevi letti tu quei libri di Dorina?
Li aveva letti, e litigammo fino a giorno. Lasciò che Dorina dormisse da sola; stette con me sulla piazzetta avanti al ponte, e discusse discusse, come un gatto arrabbiato. Anche in Russia, diceva, andava come in Italia. — Guarda in Spagna, — mi disse, — sono i rossi che fanno di tutto per perdere la guerra.
— Quando si perde tutti han colpa, — saltai su. — Ci sei stato tu in Spagna? Ma in Russia hanno vinto, sí o no?
Lui diceva che in Russia si stava come in prigione. — In prigione qualcuno ci vuole, — gli dissi. — Ma che comandi chi lavora è una gran cosa.
— Non ci comanda chi lavora, — disse lui.
Quando andammo di sopra — lui per mettersi a letto, io per farmi la barba — trovai la Marina al balcone, in camiciola.
— Per girare a quest’ora ci voleva la chitarra, — mi disse. — Era meglio se andavi a sentire una messa.
A me di Roma mi piaceva l’aria fresca. Sempre a quell’ora mi sarei svegliato. In cucina trovai le ciliege e mangiando al balcone mi ricordavo quell’inverno che rientravo al primo chiaro e pigliavo il caffè alla stazione o nei bar. «Per male che vada, — pensavo contento, — anche in prigione c’è quest’ora ogni mattina». Che non ci fosse un comunista in tutta Roma, da parlargli? Quella ragazza di Luciano, ch’era dentro. Quella sí avrei voluto vederla e parlarle.
Chiesi in quei giorni a tutti quanti, se qualcuno ne sapevano. Li feci ridere, e Carletto si arrabbiava. Mi diceva ch’è facile trovar delle scuse ma che il primo lavoro è far fuori i fascisti. — Senti, — gli dissi un’altra volta, — se i fascisti ce l’hanno speciale coi rossi, ci sarà il suo motivo.
— È solamente concorrenza, — disse lui.
Intervenne Luciano. — Pablo vuol dire che finché c’è il capitale, ci saranno i fascisti.
Venivano adesso a trovarmi in bottega, specialmente Carletto, ma quasi quasi preferivo far discorso con Luciano, perché lui qualche volta capiva che avevo ragione. — Ma allora, — dicevo, — lascia perdere quelli che vanno al caffè, stai coi rossi. — Non c’è
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