Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/423


cambiare. — E va bene, — gli feci, — ma dimmi che cosa. Fin adesso nessuno me l’ha detto.

A un certo punto fu Carletto che gridò: — Io ti conosco. Tu vuoi fare le cose da te, come viene. Hai paura che un altro ti freghi. È un destino cosí. Ma le cose succedono se anche non vuoi.

— Brutta bestia, — gli dissi, — succedono a molti.

La volta dopo, glielo dissi chiaro e tondo anche a Carletto. — Per fidarsi di quelli che studiano, bisogna studiare. Tu hai mai capito quando parlano, se sono dalla tua?

Dissi cosí tanto per dire e farlo smettere. Ma a questa di studiare ci pensavo da un pezzo. Per capire le cose bisogna studiare, non le sciocchezze che insegnavano a scuola a noialtri, ma com’è che si legge il giornale, com’è fatto un mestiere, chi comanda nel mondo. Si dovrebbe studiare per saper fare a meno di quelli che studiano. Per non farsi fregare da loro. Già allora capivo che la strada è questa. Per studiare cosí c’era certo un sistema. C’era qualcuno che sapeva tutto questo. Ma trovarlo, e fargli capire che avevo capito.

Tutte le sere si parlava e si tornava alle ore piccole. Per non dar nell’occhio andavamo sui viali, cambiavamo di osteria, uscivamo in campagna. Dorina e qualche altra veniva con noi. La chitarra serviva a scusarci, ma c’era delle notti che avrei suonato come un matto anche da solo. Sotto le piante, in quel fresco di luna, non potevo tenermi. L’aria di Roma è proprio fatta per star svegli. Allora sí che avrei voluto essere in gamba, saper cantare come i negri, aver studiato. Sono il piú giovane, dicevo, ho ancora tempo. Qualche volta pensavo alle cose che mi eran toccate in un anno, a com’ero cambiato, alla fortuna di quel viaggio. Tutto va bene se va bene, dicevo.

Ero andato una volta a prender dei pezzi in un’officina sull’Aurelia, e da allora nel pomeriggio uscivo sempre in bicicletta un’ora o due. Lasciavo il negozio al ragazzo e alla Bionda. Lei una volta mi chiese se andavo lontano. — Giro un po’, — le dissi.

— Dove passi la sera?

— Dove vuole che vada?

— Non balli, non giochi alle carte, non vai in Trastevere.

— Lo facevo a Torino.

— Anche a Torino c’è Trastevere?

— Qualcosa di qua dalla Dora. Si chiama il Fortino.


419