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E Carletto parlò come lui. Disse che parte della colpa era anche mia. Ero dei tanti che restavano a guardare. Com’era che avevano fatto i fascisti? Menato le mani. Presa Roma e menate le mani. Anche noi bisognava fare un blocco e resistere.

— Cosa pensi? — gli dissi. — Vuoi prendere Roma?

Quella sera girammo per i ponti finché ci fu luce. Ci appoggiavamo alle spallette e parlavamo. Mi raccontò che tutti i vecchi erano vivi, tutta gente di prima, disposta a rischiare. Ce n’erano all’estero, ce n’era in prigione. Tutti tenevano e restavano a contatto. — I fascisti non sono tranquilli, — mi disse, — le prigioni sono piene. C’è della gente che sta in casa e ha il questurino sulla porta. Sai che cosa vuol dire? — A noi toccava, come nuovi, lavorare nella massa. Ascoltarli discorrere e dargli una mano. C’erano i mezzi, c’era la stampa da passare. Far propaganda nella massa.

— Combinare uno sciopero, — disse.

Quando Carletto se ne andò per fare il numero, io pensavo ridendo «E Dorina? se il marito esce fuori, che cosa succederà?» ma la raggiunsi in trattoria e ripensavo a tutto quanto e mi dava coraggio che per quelli in prigione ci fossero ancora speranze. Era una notte bella e chiara, e tutti andavano e venivano, dappertutto reclam luminose, automobili e carrozze; le osterie lavoravano, la radio cantava — e quei poveri storti ch’eran dentro. Sarebbe stata una gran cosa dare un giro alla baracca. Non piú vedere quella faccia sopra i muri. Spaccar tutto.

Mi calmai presto, e mi dispiacque non averci la chitarra. Quella sera comparvero Ludano e Fabrizio, quei due amiconi di Carletto, e si parlò del Mascherino, e Dorina voleva far festa insieme a loro. Arrivò piú tardi un chitarrista col fiore all’occhiello e suonava da cane. Tutti dicevano di smetterla e passarmi la chitarra. Ma lui s’accorse ch’ero nato un po’ piú in su e mi disse: — Porco — . Poi mi tirò una sedia in testa. Poi mi disse: — Bastardo — . Quando arrivarono gli agenti era per terra che ruttava. Siccome le aveva buscate da me, dovetti dare il nome e il resto, e mi dispiacque. Fino allora, chi sapeva qualcosa di me?

Dorina s’era spaventata mica poco, e ci toccò portarla a casa in carrozzella. Poi restammo a passeggio noi quattro e si cianciava andando su per la collina.

— Queste figure non succedono a Torino, — diceva Luciano.


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