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al bar di Linda e di Lubrani; passai davanti alle vetrine di una sarta. L’ultima volta ch’ero andato per quei portici ero ancora con Linda. Alzai gli occhi alla torre Littoria. Mi ricordai di quando uscivo dal portone di Linda e vedevo la torre attraverso la piazza. Magari anche lei ci pensava passando.
Al Mascherino non trovai nessuno, se non quel vecchio Carlandrea e le ragazze. Il cameriere non mi seppe dar notizie. Allora andai fino al teatro e non sapevo cosa fare e cominciavo a disperarmi. Guardavo svogliato le foto di quelle ragazze incollate ai cartelli — quante volte le avevo vedute passando — ed ecco che vedo Carletto, la foto di lui, quella in nero, elegante, piegato avanti che rideva. «Ce l’ha fatta, — pensai, — meno male». Ma mi sembrò di aver perduto qualche cosa e mi dispiacque, perché adesso anche lui lavorava per l’altro.
Stetti un poco davanti al teatro. «Se non faccio qualcosa, — pensavo, — comincio a correre le strade e parlare da solo». Avevo un gatto dentro il sangue, che graffiava. Allora chiesi alla cassiera quando finiva lo spettacolo. «Anche questa lavora per l’altro, — pensavo, — non gli bastano i corpi di ballo». La cassiera mi disse che potevo aspettare, perché uscivano dalla porta d’ingresso.
Allora entrai nel Mascherino e mi sedetti a una vetrina scura scura. Anche aspettare è far qualcosa. Per calmarmi bevetti del vino. Poca gente passava su e giú davanti all’ingresso.
D’un tratto vidi nella luce Carletto con altri. S’eran fermati a far discorso; poi comparvero Linda e Lubrani. Traversarono la strada tutti quanti.
S’erano accesi in quel momento i lampadari. Chi mi vide fu Linda, e parlò con Carletto. Mi fece un cenno con la mano e non si mosse.
Io stavo già per andar via, quando Carletto mi tagliò la strada. — Le signore ti aspettano, — disse. Era vestito in giacca nera e spettinato.
— Chi si vede, — gli dissi. — Hai fatto pace col padrone?
— Sai com’è, — mi ripose. — Non vieni?
Io lo feci sedere e gli offersi del vino. — Quand’è che facciamo una festa noi due? Ho una chitarra che non suona piú da mesi.
— Vieni a prendermi un giorno all’uscita, — disse lui.
— Ah Carletto Carletto, basta poco a calmarti. Com’è che non sogni piú i gatti?
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