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lare quell’altro. Poi sentii che dicevano qualcosa di me. Rialzai la testa e feci finta di svegliarmi.
Tutta la notte stetti solo, e l’idea che dovevo passarne ancor una mi toglieva il coraggio. Ogni tanto dicevo delle cose nel buio. M’abbracciavo stretto al cuscino e dicevo qualcosa. Quel che pensavo, ormai l’avevo già pensato tante volte, che era come gli scalini di casa.
L’indomani girai da solo tutto il giorno, e non era mai sera. Si mise a piovere, acqua e neve, e pensavo: chi sa se piove anche a Milano. Dovevo andare al Mascherino, e adesso l’idea di trovarci qualcuno, Carletto, della gente cosí, mi faceva piacere. Mi faceva piacere pensare che ci avrei passato la notte. Rimandavo il momento di andarci: mi pareva di perder qualcosa a non essere piú solo in quell’ultima sera.
Carletto disse: — Ti ho trovato una chitarra. Stavolta facciamo la festa noialtri — . Erano attori che partivano per Roma e che sarebbero venuti al Mascherino a mezzanotte.
Vidi un buon segno in tutto questo e dissi: — Ieri stavo male. Da’ qua la chitarra.
Carletto disse che l’avrebbero portata quegli amici. — Per adesso beviamo.
— Tu fai bene, — mi disse sul vino, — a non sprecarti nei teatri. Sei piú dritto di tanti. Prendi me che per vivere ho dovuto cantare.
— Ma tu sei bravo.
— cosa c’entra? Un Lubrani c’è sempre.
Gli chiesi allora perché non cercava lavoro con altri. — Sai com’è, — disse lui, — mi hanno fregato quella volta. Tu non sai quanti uffici bisogna passare per avere un permesso. Lubrani ha di buono che piglia occhi chiusi.
— E non puoi, — dissi adagio, — fare un altro mestiere?
— Non si cambia mestiere, — disse lui. — Cambi donna magari, ma non cambi mestiere.
Guardò il bicchiere e lo vuotò.
— È un mestiere carogna, — riprese, — tu mi piaci perché non lo fai.
— Se fossi in grado, lo farei.
— Va’ là ti conosco, — mi disse. — Una volta ero anch’io come te. So che ti piace vivere solo e indipendente.
Non ci pensavo che Carletto era piú vecchio. Con quel testone
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