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serio un po’ vago. — Ragioniere, — diceva, — maestro... nottata... Telefonato... dottore, maestro... Firenze... pianta grassa... Chianciano... nottata...
— Fammi vedere cos’hai scritto ieri sera.
Ma Lubrani non volle e nascose il libretto.
— Dicci tu cos’hai fatto la sera del venti. Sentiamo Linda.
Linda fece una smorfia e brontolò che non teneva l’agenda. — Non mi resta nemmeno quest’anno. Ho sprecato ogni cosa. Non ricordo piú niente.
— Non c’è bisogno che sia il venti, — dissi allora. — Basta quel tempo, basta il mese di dicembre.
— Lavoravo, — disse Linda.
— Giorno e notte? — diiese Lubrani.
— Chi lo sa cosa ho fatto. Uno ricorda solamente quel che si fa per abitudine. Tutto il resto sparisce. Quello che hai detto e che hai creduto non c’è piú. Mi ricordo un mattino che c’era una nebbia d’ovatta, e sembrava che il mondo l’avessero tolto. Non si sentivano nemmeno i passi... Mi ricordo di questo.
— Ma con chi uscivi quelle notti?
— Lascia perdere, — disse Lubrani. — Tutti contiamo delle storie.
Il mio ricordo non lo chiesero. Se mi fece piacere, non so. Linda stava aggobbita sul tavolo e disse: — Giochiamo a quell’altro. Che cosa faremo un altr’anno quest’oggi?
La donna matta aveva smesso da un bel po’. Qualche coppia ballava. Saran state le tre del mattino e la sala era vuota. Mezza orchestra dormiva.
— Io lo so, — disse Linda, — cercheremo che cosa abbiamo fatto stasera.
— Bevi bevi, — le disse Lubrani.
— Vuoi che ricordi questo vino? — disse lei piagnucolando. Non appena fui solo con lei — l’indomani per strada — glielo chiesi. — Davvero non ricordi l’altr’anno?
— Ci pensi ancora? — disse Linda.
Io mi ero accorto ritornando a casa che preferivo viver solo piuttosto che Linda scordasse anche me. Mi faceva un piacere carogna pensarci. Se di colpo smettevo di uscire con lei, forse l’avrei mortificata e non mi avrebbe piú scordato.
— Io mi ricordo ogni momento che ti ho vista, — le dissi.
— Può darsi.
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