Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/381







VIII.

Linda ammetteva che Lubrani le stava d’attorno, lo ammetteva ridendo, e qualche volta ci scherzava anche con lui. — Quel che è da ridere, — dicevano, — è che abbiamo la casa a due passi e nessuno sapeva dell’altro.

— È tutto merito di Pablo, — disse Linda.

Lubrani era sempre elegante. Coi cinquant’anni che aveva sulle spalle e quella voglia di mangiare e di sbronzarsi, se non si fosse massaggiato, ben vestito e lavato al profumo avrebbe fatto la figura di un facchino. — Bagno turco, — diceva. — Eliminare per i pori, è tutto qui. Li abbiamo apposta.

Chiesi a Linda una notte se l’aveva mai visto in mutandine da bagno. — Ti piace? — le dissi. — Deve averci dei peli fin sopra la schiena.

— Poveretto, — disse Linda, — magari è liscio e rosa come un bimbo.

Me lo disse sovente che con tutti i suoi soldi era un povero diavolo. — L’ha piantato la Clari. Si è fatta dare l’usufrutto di un teatro e l’ha piantato. Devi vederlo. Quando ritrova una di noi che conosceva da bambine, ci corre dietro come un cane. È un brav’uomo. E lavora. Tutti gli chiedono dei soldi e lui lavora.

— Si vede.

— Furbo. Lo sai che ha dei teatri dappertutto e ha cominciato senza un soldo? Non è un lavoro come i nostri. Lui telefona e viaggia. Dà lavoro alla gente.

— Vive alle spalle della gente.

— Sciocco. Ci vogliono gli uomini cosí.

Per uscire con Linda sopportavo anche lui. C’era un locale a


377