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cialmente, che si contendevano a spruzzi lo scoglio. Stefano seduto sulla sabbia li guardava svogliato. Strillavano nel loro dialetto, nudi e bruni come frutti di mare; e di là dalla spuma tutto il mare appariva a Stefano un paesaggio vitreo, clamoroso a vuoto, davanti a cui tutti i suoi sensi si ritraevano, come l’ombra sotto le sue ginocchia. Chiuse gli occhi, e gli passò innanzi la nuvoletta della pipa di Giannino. La tensione divenne cosí dolorosa, che Stefano si alzò per andarsene. Un ragazzo gli strillò qualcosa. Senza voltarsi Stefano risalí la spiaggia.
Stefano temeva che nel pomeriggio Elena venisse a trovarlo. L’aveva tanto desiderata, e carnalmente, quella mattina ridestandosi nel letto; e ora non voleva piú saperne. Voleva essere solo, rintanato. Gli ballavano intorno le facce degli altri, ridenti vaghe clamorose sciocche, come nella gazzarra del giorno prima; attente e ostili come ai primi tempi, come un’ora fa. Gli occhi pieni d’intrigo, quelle dita insinuanti, gli facevano raggricciare la pelle. Sentiva parti di se stesso in balia altrui. Quell’Elena che gli dava del tu e aveva il diritto di rimproverarlo con gli sguardi; il suo cuore segreto scioccamente sciorinato all’osteria; le angosce della notte in pieno sole. Stefano chiudeva gli occhi e induriva la faccia.
Camminò quasi di corsa, lungo il terrapieno. Passò davanti alla casa di Concia, senza voltarsi. Quando fu lontano, davanti al cielo vuoto, sapeva che alle sue spalle il poggio sorgeva a picco, e capí di fuggire.
Alla sua destra c’era il mare monotono. Si fermò a capo chino, e il pensiero di aver avuto paura lo calmò. Ne vide subito l’assurdo. Comprese che Gaetano aveva parlato per invidia, per sostituirsi a Giannino. Divenne tanto lucido che si chiese perché tanta angoscia se questo l’aveva già capito parlando ancora Gaetano. La risposta era una sola, e lo fece sorridere: le pareti invisibili, l’abitudine della cella, che gli precludeva ogni contatto umano. Erano queste le angosce notturne.
Alta, sul poggio dalla cima bianca, c’era una nuvoletta. La prima nube di settembre. Ne fu lieto come di un incontro. Forse il tempo sarebbe cambiato, forse avrebbe piovuto, e sarebbe stato dolce sedersi davanti all’uscio, guardando l’aria fredda, sentendo il paese attutirsi. In solitudine, o con Giannino dalla buona pipa. O forse nemmeno Giannino. Starsene solo, come dalla finestra del carcere. Qualche volta Elena, ma senza parlare.
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