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e le parlavo. Mi prese una mano e se la poggiò sulla guancia. Mi abbassai per baciarla.

— Ti do il raffreddore.

Posai la testa sul cuscino e dissi piano: — Stiamo insieme quest’oggi.

— E poi?

— Poi mi cerco un lavoro e ti sposo.

— Bravo lui, — disse ridendo.

Io le tenni la faccia vicino e non dissi piú niente.

Dopo un poco mi chiese: — Siamo già insieme. Che vuoi d’altro?

Non le dissi piú niente.

Allora Linda non si mosse, e respirava. Stemmo insieme cosí, chi sa quanto. Mi ero quasi scordato che stavo con lei. Linda cercò sotto il cuscino il fazzoletto. Mi toccò muovermi, e lei disse tranquilla:

— Questa vita che faccio mi piace. Perché vuoi che la cambi? Devi abituarti alla mia vita. Io non voglio dipendere da te né dagli altri. Nemmeno tu devi dipendere da me. Sei geloso?

— Hai ragione, — riprese. — Vorrei vedere non lo fossi. Anch’io sono gelosa. Devi occuparti e non pensarci. Perché non suoni la chitarra? È un lavoro per te, non hai altro. Puoi diventare un buon solista.

Quel mattino bussarono all’uscio e una brunetta col grembiale da commessa chiese a Linda se voleva il caffè. — Me lo fa lui, — disse Linda, — è il mio dottore — . L’altra, ridendo, scappò via.

Da quel giorno mi misi a cercare un lavoro, girai dappertutto, e in negozio ci stavo soltanto il momento di uscire. Si parlava di nuovo di Amelio, e l’idea di vederlo spuntare tra i vetri, appoggiarsi alla porta, aspettare, mi metteva spavento. Sua madre disse nel negozio che perché lui potesse uscire ci sarebbe voluto l’ascensore. — Vadano a stare al pianterreno, — disse una donna che sentiva. Io sapevo che Amelio non sarebbe venuto a cercarmi, ma guardavo lo stesso la porta. «Se ha fatto il matto, è colpa sua». Non riuscivo a trovare un lavoro, ma sapevo che lui nei miei panni ne avrebbe trovato. Qualcosa faceva anche da letto, se no li avrebbero già messi sulla strada. Doveva vendere e comprare, quest’è certo.

Linda rimase nella stanza qualche giorno, e teneva consiglioA


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