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VII.
A Torino arrivammo di notte. Lasciammo Linda alla porta di casa. «Sto male» diceva. Scappò col naso nel paltò. Lubrani disse: — Andiamo a cena.
— Non ho un soldo.
— Sciocchezze.
Quella sera mi disse che aveva paura di averci colpa nel malanno di Linda. — Non piú tardi di ieri l’ho portata in piscina, — mi disse. — Tu non vai? Già, bisogna esser soci. È un ambiente ristretto. Scaldano sí ma si fa presto a prender freddo.
— Non lo sapevi? Non ti dice queste cose?
Quando capí d’avermi in mano, andò deciso.
— Linda non dice molte cose, ma le fa. Ne ha bisogno. Come tu di fumare. Non ci pensa due volte. Tu ci pensi due volte quando respiri la boccata?
Aprí la bocca e lasciò uscire il fumo adagio.
— Hai fatto caso quando parla con qualcuno? Sembra che aspiri una boccata. Anche con te. Non ci pensi alle volte?
— Sembra che aspetti, — disse brusco, — no? sembra che aspetti una parola o qualcosa. E invece no, te l’ha già fatta.
— È un peccato che sei senza soldi, — riprese, — perché tu credi che le donne corran soltanto dietro ai soldi. Sei sicuro che prima di te non ne avesse uno meglio?
Dissi: — E con questo?
— Non crederai d’interessarla perché le suoni la chitarra? È una cosa ridicola. Chitarra e fumo son la stessa cosa. Tu che vendi i tabacchi dovresti saperlo.
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