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— Che giornata, — disse Linda. — Ieri neve, oggi sole. Sai che Carletto mi fa rabbia?

— Quando nevica il mare non cambia colore? — dissi.

Linda rise con me.

— Non l’ho mai visto che al cinema, — dissi. C’era un tepore che sapeva di giardino.

— È questo l’odore del mare? — Poi le dissi: — È ben scemo Carletto a venirsene via.

Linda mi disse: — Vuoi bene a Carletto?

— Senti, — le dissi, — quest’estate ci torniamo. Ho bisogno di soldi. Voglio fare qualcosa per stare con te. Dammi un lavoro coi tuoi sarti, qualcosa. Vado in giro, prendo il treno. L’ha fatto Amelio, posso farlo anch’io. Voglio stare con te giorno e notte.

Linda lasciò che la baciassi contro il ferro; non mi diede la bocca, si lasciò toccar gli occhi.

— Andiamo a prendere il caffè, — disse piano.

Nel caffè parlammo ancora di Carletto. — È un disgraziato, mi disse. — Si fa mettere a spasso cosí per capriccio. Anche a Lubrani dice sempre tutto in faccia. Stava già bene, nossignore, se la piglia col Fascio.

— Ma adesso lavora di nuovo.

— Chi comincia, è finita. Senti, — mi disse, pigliandomi il braccio, — non far mai niente contro il Fascio, prometti.

Aveva gli occhi spiritati. Non so se faceva per burla. La calmai ridendo anch’io.

Poi ritornammo nel vicolo. Li trovammo seduti tra i fiaschi, e tutto un piatto di fotografie.

— Chi è questa? — diceva Lubrani.

— La tale.

— Non ha gambe.

— Neanch’io.

Linda disse di smetterla e venire a passeggio. Carletto rideva cattivo. — Sei venuto a cercarci. Vuol dire che sai che valiamo dei soldi. Devi prendere quel che ti do.

— Facci vedere la Dorina, — disse Linda.

— Le hai trovate in quel posto, — disse Lubrani.

Carletto allora non parlò, ghignava sempre. Si alzò in piedi, raccolse le foto, prese Linda per mano e disse a me: — Si va a sen-


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