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aspettavano e non fecero baccano piú del solito. Quasi tutti tornavano allora da ballare e ci fu chi mi diede un pugno sulla spalla e diceva: «Se c’eri tu, suonavi meglio di quei tali».

Ci sedemmo a discorrere e la lite era tra chi nel ballare sta a sentire l’orchestra e chi nemmeno s’accorge che suonino. Li lasciai litigare e alla fine dissi che anch’io quando ballo m’importa soltanto la donna, e la musica è meglio sentirla da fermo. Intanto imbracciai la chitarra e giocavo di mano e ascoltavo i discorsi.

Non l’avrei detto, il giorno prima, che mi sarei seduto ancora a quel tavolo, e pensavo che in questo ero come Amelio, ch’era venuto qualche volta all’osteria per passare una sera disoccupata quando Linda non era con lui. E stavo zitto come lui, ma ci pensavo. E lo vedevo uscir di casa con le grucce e incamminarsi e traversare e arrivare al negozio. Avrebbe detto «Questa sera», fermo sull’uscio, per non fare lo scalino. Avrebbe chiesto a Carlottina: «Dov’è Pablo?» Saremmo entrati all’osteria come stasera. E mi vedevo la sua faccia farsi smorfia, la sigaretta penzolare, e allungare la mano e menarmi una nocca sul mento come a un cane. «Fatti furbo, — avrebbe detto, — va’ via».

Poi pensavo se Linda fosse stata con me questa sera. Lui non l’avrebbe mai portata all’osteria in mezzo a noi. Mi venne rabbia di pensarci anche stasera, e dissi agli altri che giocavano a scopa: — Pablo ha sete.

Lario e Martino mi ascoltavano appoggiati alla finestra. Suonai prima qualcosa di svelto per farmi la mano. Venne il vino. Ne bevemmo noi tre. Chelino disse sulle carte, voltando la schiena: — Fate bere anche noi.

Io la chitarra non l’avevo piú toccata da quel giorno di Amelio. Ma sapevo già tutto quello che avrebbero detto. Sapevo che quando si sarebbero messi a cantare, qualcuno dal tavolo avrebbe gridato «O si gioca o si canta»; poi Chelino avrebbe detto la sua, poi gli altri; poi sarebbe venuto ancora del vino. Sapevo già tutto. Avrei voluto esser già sbronzo e buona notte.

Dopo un po’ che suonavo, li ebbi tutti al mio tavolo. Pensavo a Linda e alla sua idea dell’orchestra: «Se gli chiedessi quattro soldi a questi qua, mi darebbero il fiasco sul cranio». Non è un mestiere che si paga, la chitarra. Non è niente. È un passatempo che mi prendo quando non c’è Linda. Mi sentivo una pena come un brutto pugno nel fiato, e suonavo per farla passare, e bevevo


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