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V.

Uscii con Lario, in quei giorni, un pomeriggio e una sera. Il pomeriggio andammo insieme in bicicletta a San Mauro; doveva portare dei ferri a un cliente. Era un sabato, perché Lario era libero. Ero libero anch’io perché Linda quel giorno mi aveva detto; — Voglio starmene sola, va’ via. Ci vediamo domani.

Lario capiva che qualcosa era successo e quando a Sassi gli feci una fuga mi tenne dietro zitto zitto e non chiese il perché. Mi sfogai come un matto a sudare in quel fresco e provare se ancora ero in gamba. Cosí tra Lario che inseguiva e la strada che avevo davanti, mi lasciai dietro quel pensiero e la giornata e già pensavo all’indomani. A San Mauro ci mangiammo del salame seduti sull’argine, e guardavamo le colline scure dove Lario diceva che suo nonno era andato a caccia con Don Bosco, ma a me piaceva di piú il Po e me lo godevo e non dicevo che quell’acqua era passata da Torino. Cosí il sole andò sotto e Lario disse: — Se io sapessi suonar la chitarra, suonerei giorno e notte. — Io no? — gli feci. — Non c’è mattina che non studi una mezz’ora.

— Non ti sente nessuno, — mi dice, — e che cosa ti rende?

Intanto al freddo tornavamo verso casa. — Sai, — mi dice, — alla tampa si sono lamentati. Perché non vieni piú con noi?

Lario è uno che parla tranquillo. Poi sta zitto e ci ripensa. È testardo.

— Non mi dirai che vai da Amelio anche di notte.

— Di notte giro per Torino.

Stavolta ero allegro. — Vado a spasso suonando e cantando, — gli dico, — poi faccio il giro col cappello e prendo i soldi.

All’osteria ci andai quella sera con Lario e chitarra. Non mi


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