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IV.

Se fosse stato stagione, facevo il mattino in quei prati. Ero contento di esser solo e avevo sonno. Camminai per mezz’ora e incontrai soltanto carri. Si sentivano nella nebbia, poi compariva la lucerna a fior di strada. Camminando pensavo: «Nessuno direbbe ch’è successo stanotte». Non ci dovevo piú pensare. Mi venne in mente se nel buio fosse stata Lilí.

Finii la notte nel caffè della stazione. Tutte le strade erano vuote. Non c’era di aperto che quello. Qui la nebbia era il vapore della macchina espresso, e un odore piú freddo che veniva da fuori. Era odore di carbone e di treni. Dio, mi piaceva in quel mattino. Tutti dormivano, anche Linda. Guardavo i vetri e la tettoia aperta dove doveva uscire il chiaro. Se avessi avuto la chitarra.

Quando fu giorno, andai da Amelio. Altro da fare, fino a sera, non avevo. Ci andai per dirgli tutto quanto e stare in pace. Mi ficcai per le scale. Trovai chiuso.

Venne aprirmi la madre. Io pensavo: «Se ci sento il profumo di Linda è finita». La madre usciva e disse brusca: — Ce n’è un altro — . Allora Amelio la chiamò, si parlarono dalla cucina, e lei — Dice di entrare, — mi disse. Era piú presto quel mattino. La vecchia uscí tirando l’uscio.

Nella stanza, sul letto d’Amelio, era seduta una ragazza magrolina. Aveva un brutto impermeabile e un berretto alla basca. Non era un tipo da fare l’amore, sembrava di quelle che trottano alla scuola serale. Mi guardò chiudendo gli occhi, senza muoversi, e anche Amelio, appoggiato al cuscino, disse appena: — Sei tu.

Feci finta di ridere e dissi: — Vi lascio tranquilli.

La finestra era chiusa, le coperte in disordine, i giornali dappertutto e per terra. La ragazza aveva in mano dei fogli di carta. C’era un odore di letto.


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