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al primo pugno. Ma in quel locale non ero ben sicuro di me. Dissi invece: — Si sta bene anche soli.

Lubrani allora rise forte, di gusto, con quegli occhi apoplettici. Rise anche l’altra, per tenergli compagnia. Si sedettero, e pace.

Cosí passò tutta la sera; anche Lilí divenne allegra. Raccontò che di giorno lavava e tosava dei cani, li pettinava e profumava e li portava a domicilio.

— Se son maschi, apri l’occhio, — disse Lubrani.

Ma Lilí non capiva lo scherzo, dava troppo sul biondo. Io li lasciavo chiacchierare; bastava Linda a dar risposta. Di tanto in tanto ballavo — se era Linda le tenevo la faccia all’orecchio e dicevo «Sei tu». Finalmente tornando da un ballo con Lubrani, Linda disse: — Ce ne andiamo?

Fuori era freddo e si sentiva la collina. Gocciolava. Lilí disse: — Era meglio restare.

Salimmo invece sulla macchina di Lubrani. Un macchinone. — Si va a casa a finire la festa — . Mi ero ficcato accanto a Linda e le strinsi la mano nel buio per dirle che avevo capito.

Lubrani stava in un alloggio sulla torre Littoria. Ci portò in una stanza che ricordava il locale di prima. C’eran le lampade nascoste dentro i muri e un grosso tavolo di vetro. Mise il grammofono e ci diede da bere.

Mi sedetti con Linda su un sofà basso. Di ballare ero stufo. Lubrani e Lilí ballarono per un poco in mezzo alla stanza. Sembrava fatta per quei mobili, la bionda, piú di Lubrani che muovendosi tremava il pavimento.

— Se non piovesse, — disse Linda, — di qui si vede tutti i tetti di Torino.

Poi Lilí cominciava a scappare e Lubrani a rincorrerla. — Spegni la luce, — disse Linda.

Bevemmo ancora. Quella Lilí rideva forte, come fosse un galletto. «Povera diavola» dicevo «che si diverta proprio tanto?» Si accucciarono insieme in un angolo. Li sentii che soffiavano, e nel buio la mano di Linda prese la mia.

— Cosa vuoi? — dissi mezzo ridendo.

Stavo lí lí per dirle piano «Chi sa Amelio a quest’ora». Ma non lo dissi e l’abbracciai e fu finita.

Quando mi alzai non vidi nulla e avrei voluto essere solo. La


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