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III.

Cosí tornammo a uscire insieme, e stavolta era chiaro che eravamo noi due e non piú conoscenze. Linda sapeva molti posti in collina dove uomini e donne arrivavano in macchina e costava qualcosa di piú ma si poteva esser certi che nessuno ci conosceva e né Lario né gli altri sarebbero venuti. Si ballava tranquilli e poi si stava al tavolino a discorrere. Linda mi chiese se le orchestre mi piacevano.

— Tu che suoni, dev’essere bello, — diceva. — Suoni bene davvero. Quel giorno ho capito chi sei. Perché non porti la chitarra al Paradiso?

— Sei matta. Ci mettono fuori.

— Balliamo allora.

Poi cominciammo a darci baci, quando abbassavano la luce. Linda ballava stretta stretta e mi cercava lei la bocca. Lo sapevo da un pezzo che doveva finire cosí, ma con Linda era tutto diverso. Non sembrava una cosa proibita. Starle vicino e non toccarla, non potevo.

A poco a poco andammo sempre al Paradiso. Faceva freddo tra le piante. Io pensavo a una macchina, o alla moto di Amelio.

— Qui ci venivi con Amelio? — le dissi una sera.

— Ci vengo sempre quando posso.

— Ci venivi da sola?

— Non si è mai soli in un locale.

— Senti, — le dissi, — dimmi tutto quel che hai fatto con Amelio.

Mi guardava ridendo.

— Non ti basta che siamo a ballare stasera? Non è meglio ballare che parlare degli altri? — Poi disse: — Facevo una vita agitata.


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