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— Non fa niente. Stasera parliamo.

Quando dissi che l’avevo incontrata sul portone di Amelio quella stessa mattina, non mi diede risposta. Non voleva mica saperne. Smetteva di chiacchierare, e cambiava discorso ridendo. Mi raccontò di quando andava con Amelio a far le gite, di quand’era volata nel fosso, del vestito che aveva strappato.

— Ma perché siamo insieme stasera? — disse una volta, fermandosi. Passavamo in fondo a una piazzetta, dove non ero mai stato,

— Dove andiamo?

— Ah volevo domandarti se possiamo aiutarlo — . Parlava cambiando d’umore cosí, come se avesse bevuto. Ma non era una sciocca. Era fatica starle dietro nel discorso. La tenevo a braccetto, e discutevo. Ogni volta con il tu mi sbagliavo. Ero sudato.

— Voglio che Amelio torni in piedi, e che cammini, — diceva imbronciata.

— Non sulla moto?

— E tu perché non hai la moto?

Allora dissi che a ciascuno il suo mestiere e che Amelio era stato piú in gamba di me e ch’io vivevo sopra il corso e praticavo solamente i tabacchi e i ciclisti.

— Ma qualcosa lo fai.

Non ci pensavo, e lei mi disse che suonavo la chitarra. — Suoni bene?

— Chi sa.

— Una sera ti voglio sentire.

Allora bisognava rivederci, le dissi ridendo.

— Si capisce, — mi disse.

Ci sedemmo al caffè e cosí potei vederla bene in faccia. Quando parlavo, mi guardava dentro gli occhi. Io pensavo alle gambe di Amelio.

Per capire se anche lei le aveva viste, le raccontai della mattina. Fece una smorfia e chiuse gli occhi; lasciò che dicessi. Non avevo finito che mi mise una mano sul braccio e disse in fretta:

— Dobbiamo aiutarlo. Non può piú lavorare.

— Neanch’io lavoro. Vivo in casa.

— Perché non suoni in un’orchestra?

Ci voleva una sera cosí, per dir questo. Io non ci avevo mai


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