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Quando fummo di sopra, andò alla finestra, vi si appoggiò col dorso e mi guardò girare per la stanza.

— Professore, sono contento, — scappò a dire improvvisamente, mentre gli volgevo le spalle e mi sciacquavo la bocca.

Gli chiesi perché, e lui mi rispose con un gesto, come a dire: «Cosí».

Neanche quel pomeriggio leggemmo. Prese a spiegarmi che di tanto in tanto gli veniva voglia di lavorare, una smania, un desiderio di fare qualcosa, non tanto studiare quanto avere un posto di responsabilità, di fatica, ma darci dentro giorno e notte per diventare un uomo come noialtri, come me. — E tu lavora, — gli dissi. — Sei giovane, fossi io al tuo posto — . Mi disse allora che non capiva perché la gente esaltava tanto i giovani: lui avrebbe voluto avere già trent’anni — tanto di guadagnato — erano stupidi quegli anni intermedi.

— Ma tutti gli anni sono stupidi. È una volta passati che diventano interessanti.

No, disse Berti, non trovava proprio niente di interessante nei suoi quindici, nei suoi diciassette anni; era contento di averli passati.

Gli spiegai che la sua età aveva di bello che le sciocchezze non contavano e proprio per quel fatto che a lui spiaceva: che si era stimati soltanto ragazzi.

Mi guardò sorridendo.

— Dunque quelle che faccio non sono sciocchezze?

— Secondo, — gli dissi. — Se dài noia alle mogli dei miei amici, sarà certo una sciocchezza, oltre che una villania.

— Non do noia a nessuno, — protestò.

— Starò a vedere.

Mi confessò, nelle parole che ancora facemmo, di aver creduto stupidamente che la signora fosse l’amica del mio amico, e che sapere che era invece sua moglie gli aveva fatto piacere, perché gli faceva troppo rabbia che le donne con la scusa che sono donne si vendano al primo offerente. — Ci sono dei giorni che il mondo, la vita, mi pare un grande postribolo.

In quel momento lo interruppe una voce agra, che conoscevo, una voce di donna inasprita che salí dalla strada, rimbeccando quella della nostra padrona di casa. Ci guardammo in faccia. Berti


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