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Deposta Ginetta davanti alla rimessa, noi tornammo a piedi verso l’albergo. Avrei preferito quella passeggiata farla da solo, ma Guido che per tutta la sera aveva parlato poco e giocato con disattenzione aggressiva, mi disse di tenergli compagnia. Gli riparlai di Mara. Guido sostenne svogliatamente il discorso: Mara era in buone mani e fuori pericolo. Giunti davanti al suo albergo, tirò dritto.

Capitammo taciturni all’imbocco della mia viuzza, e feci per fermarmi. Guido proseguí di qualche passo, poi si voltò con aria casuale.

— Lasci che aspettino, — disse. — Venga fino alla stazione.

Chiesi chi mi aspettava, e Guido disse noncurante che, diamine, qualcuno dovevo pure avere con me per compagnia. — Nessuno, — gli risposi. — Sono scapolo e solo.

Allora Guido borbottò qualcosa, e su quella ragione riprendemmo a camminare.

Chi doveva aspettarmi, tornai a chiedere. Forse quel giovanotto della spiaggia?

— No, no, professore, intendevo una relazione... un’amicizia.

— Perché? mi ha visto in compagnia?

— Non dico questo. Ma uno sfogo insomma ci vuole.

— Sono qui per riposarmi, — spiegai. — E il mio sfogo è star solo.

— Già, — disse Guido sovrapensiero.

Eravamo nella piazzetta, davanti al caffè, quando parlai. — E lei ha una compagnia? — dissi.

Guido rialzò la testa. — Ce l’ho, — disse aggressivo. — Ce l’ho. Non tutti siamo santi. E mi costa un occhio.

— Ingegnere, — esclamai, — però la tiene ben nascosta.

Guido sorrise compiaciuto. — È questo che mi costa un occhio. Due conti, due stabilimenti, due tavoli. Creda, un’amante è la moglie che costa di piú.

— Lei si sposi, — dissi.

Guido scoprí i suoi denti d’oro. — Sarebbe sempre doppia spesa. Lei non conosce le donne. Un’amica fin che spera sta cheta. Ha tutto da guadagnare. Ma un disgraziato che abbia moglie è nelle sue mani.

— E lei sposi l’amica.

— Scherziamo. Sono cose che si fanno da vecchi.

Lo lasciai davanti all’albergo, promettendogli che l’indomani


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