Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/306


sava piú alla pittura che a lei, e questa era la causa dei loro contrasti.

— Contrasti? — disse Clelia aggrottandosi.

M’impazientii. — Via, Clelia, non vorrà farmi credere che un pochino non abbiate litigato. Si ricorda quella sera che lei mi supplicava di tenergli compagnia e di distrarlo...

Clelia mi ascoltò semiimbronciata e faceva segni di diniego col capo. — Non ho mai detto nulla, — brontolò. — Non ricordo — . Sorrise. — Non voglio ricordarmene. E lei non faccia il villano.

— Diamine, — dissi. — Il primo giorno ch’ero qui. Tornavamo da quel viaggio dove ci hanno sparato...

— Che bellezza, — esclamò Clelia. — E quell’uomo bianco che faceva le capriole?

Dovetti sorridere, e Clelia disse: — Tutti mi prendete in parola. Tutti vi ricordate le cose che dico. E interrogate, volete sapere — . S’imbronciò di nuovo. — Mi sembra di essere tornata a scuola.

— Per me... — brontolai.

— Non bisogna mai ricordarsi le cose che dico. Io parlo, parlo, perché ho la lingua in bocca, perché non so stare da sola. Non mi prenda sul serio anche lei, ché non vale la pena.

— Oh Clelia, — feci, — siamo stanchi della vita?

— Ma no, è cosí bella, — disse lei ridendo.

Allora dissi che non capivo piú quel povero Doro. Perché voleva smettere di dipingere? Riusciva cosí bene.

Clelia si fece pensierosa e disse che se non fosse stata quella che era — una bambina viziata che non sapeva far nulla — avrebbe dipinto lei il mare che le piaceva tanto e che era cosa sua; e non solo il mare, ma le case, la gente, le scalette ripide, tutta Genova. — Tanto mi piace, — disse.

— Forse è per questo che Doro è scappato. Per la stessa ragione. A lui piacciono le colline.

— Può darsi. Ma lui dice che il suo paese è bello soltanto a ripensarci. Io non sarei capace. Non ho altro di mio.

Seduti cosí di fronte — in mezzo, il tavolinetto — aspettammo Doro. Clelia riprese a raccontarmi di quand’era ragazza e scherzò molto sulle ingenuità di quella vita, sul chiuso ambiente di vecchioni che volevano fare di lei una contessa e se la palleggiavano nell’ambito di tre case — una bottega, un palazzo e una villa — e


302