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una strada con l’ulivo. E rialzandosi per andarsene parlò di compagnia che lo attendeva. Quella sera sporsi il capo nel pianterreno, donde veniva uno stridente odor di fritto, e ci vidi dei bambini, una donna col fazzoletto in capo, un letto sfatto e dei fornelli. Siccome mi videro, chiesi di lui, e la donna — la mia stessa padrona — venne sulla porta e di chiacchiera in chiacchiera benedí il cielo ch’io conoscessi il suo inquilino perché ormai s’era pentita di averlo accettato e voleva scrivere alla famiglia — gente cosí buona che mandava al mare il figliuolo per svagarlo, e lui soltanto la sera prima s’era portata nella stanza una donna. — Sono cose, — disse. — Non ha diciotto anni.
Raccontai la storiella a Clelia e Doro, e descrissi la visita che Berti mi fece il mattino dopo in cima alla scala tendendomi la mano e dicendo: — Visto che ora sa dove abito, è meglio essere amici.
— Vedrai che quello ti chiede anche la stanza, — disse Doro.
Incoraggiato dall’attenzione di Clelia, dissi di piú. Presi a spiegare che la sfacciataggine di Berti era soltanto timidezza che per autodifesa diventava aggressiva. Dissi che l’anno avanti, prima di scomparire e probabilmente mangiarsi i denari che avrebbe dovuto spendere con me, quel ragazzo dava segni di soggezione e vedendomi mi faceva un inchino impacciato. Gli era accaduto quel che succede a tutti: la realtà si travestiva nel suo opposto. Come gli animi teneri che si atteggiano a ruvidezza. — Io lo invidiavo, — dissi, — perché, ragazzo com’era, poteva ancora illudersi sulla sua indole vera.
— Penso, — disse Clelia, — che io dovrei essere di carattere chiuso, diffidente e perverso.
Doro sorrise senza parlare. — Doro non ci crede, — dissi, — ma anche lui, quando fa il brusco, è quando ha voglia di piangere.
La cameriera che ci cambiava i piatti, si fermò ad ascoltare. Divenne rossa, e si affrettò. Ripresi: — Fin da ragazzo era cosí. Me lo ricordo. Era di quelli che si offendono se gli chiedi come stanno.
— Sarebbe facile, se fosse vero, capire la gente, — disse Clelia.
Questi discorsi cessavano quando dopo cena venivano gli altri. C’era il solito Guido, che se lasciava l’automobile era soltanto per giocare a carte, c’era qualche signora, delle ragazze, mariti saltuari — il crocchio genovese, insomma. Non era per me una novità che piú di tre persone fanno folla, e nulla si può dire allora che valga
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