Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/285


di quella gita, e parlando aveva l’aria di rispondere a una domanda che non le facevo. Tornavano da non so che spedizione in montagna; era al volante l’amico Guido, e Doro aveva detto: «Lo sapete che in quelle colline trent’anni fa ci sono nato?» E allora tutti, e Clelia la prima, avevano tanto assordato Guido che questi aveva consentito a fare una punta fin lassú. Era stata una pazzia perché bisognava avvertire del ritardo la macchina che li seguiva, e questa non arrivava mai, e l’avevano attesa per piú di un’ora alla biforcazione; quando poi era sopraggiunta, stava calando la notte, e cosí, cenato in paese alla meglio, avevano dovuto arrampicarsi per misteriose stradette senza cartelli e traversare tante colline che mai, e sulla strada di Genova s’erano ritrovati ch’era quasi l’alba. Doro s’era messo accanto a Guido per riconoscere i luoghi, e nessuno era riuscito a dormire. Una vera pazzia.

Adesso che Clelia non c’era, chiesi a Doro se avevano rifatto la pace. Parlando pensavo: «Qui ci vuole un figlio», ma era questo un discorso che con Doro non avevo mai tenuto se non per scherzo. E Doro disse: — Fa la pace chi ha fatto la guerra. Che guerra mi hai visto fare sinora? — Lí per lí stetti zitto. Tra me e Doro, con tanta confidenza che pure avevamo, l’argomento di Clelia non era mai stato discusso. Stavo per dirgli che si può far guerra per esempio saltando sul treno e scappando, ma esitavo, e in quel momento Clelia mi chiamò.

— Di che umore è Doro? — mi chiese attraverso la porta socchiusa della stanza.

— Buono, — balbettai senza entrare.

— Sicuro?

Clelia venne sulla porta aggiustandosi i capelli. Mi cercò con gli occhi nella penombra dove l’aspettavo. — Come, siete amici, e lei non sa che quando Doro si lascia canzonare senza rispondere, significa che è seccato e irritato?

Allora provai con lei. — Non avete ancora fatta la pace?

Clelia si ritrasse e tacque. Poi ricomparve pronta, dicendo: — Perché non accende? — Mi prese il braccio e attraversammo cosí la stanza in penombra. Mentre stavamo per uscire sul pianerottolo illuminato, Clelia mi serrò il bracdo e bisbigliò: — Sono disperata. Vorrei che Doro stesse molto con lei, perché siete amici. So che lei gli fa bene e lo distrae...

Cercai di fermarmi e di parlare.


281