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Il mare, visto pensando ad altro, era bello come nei primi giorni. Le piccole onde correvano ai piedi con labbra di spuma. La sabbia liscia riluceva come marmo. Quando Stefano risalí verso le case, lungo una siepe polverosa, pensava se, invece di quell’Elena, l’avesse abbracciato e baciato la ragazza scalza dei gerani. — Sarebbe bello incontrarla, — mormorò, per udire la propria voce turbata, — quest’è il giorno dei fatti — . L’immaginò gaia e danzante, stupita sotto la fronte bassa, innamorata selvaggiamente di lui. Ne vide, con un rimescolio, le chiazze brune dei seni.

All’osteria trovò Vincenzo, che leggeva il giornale. Si scambiarono un saluto.

— Oggi sembra domenica, — disse Stefano.

— Faceste il bagno, ingegnere? Per voi è domenica sempre.

Stefano si sedette, tergendosi la fronte. — Prendete un caffè, Vincenzo?

Vincenzo chiuse il giornale e levò il capo. La fronte calva gli faceva un sorriso stupito.

— Vi ringrazio, ingegnere.

La testa nuda pareva quella di un bimbo. Giovane ancora, se imbronciava per caso le labbra, faceva pena. Una testa da fez rosso.

— Sempre domenica! — disse Stefano. — Voi che avete vissuto in città, sapete quant’è noiosa la domenica.

— Ma allora ero giovane.

— Forse che adesso siete vecchio?

Vincenzo fece una smorfia. — Si è vecchi quando si torna al paese. La mia vita era altrove.

Venne il caffè, che sorbirono adagio.

— Che si mangia oggi, ingegnere? — disse a un tratto Vincenzo, guardando sparire la vecchia ostessa.

— Un piatto di pasta.

— Poi ci sarà del fritto, — disse Vincenzo. — Stamattina vendevano pesce di scoglio, pescato alla luna. Ne comprò pure mia moglie. È scaglioso ma fino.

— Vedete che per me non è domenica. Io mi fermo alla pasta.

— Solamente? Siete giovane, per diavolo! Qui non siete alle carceri.

— Ma sono sulla porta. Non ho ancora il sussidio.

— Per diavolo, vi spetta! Ve lo daranno certo.

— Non ne dubito. In attesa mangio olive.


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