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come ammazzarsi per essere entrata in un negozio di lusso. Quando si è stupide si torna a casa. «Sono una povera disgraziata», diceva Ginia, rasentando i muri.

Quel pomeriggio le fece piacere quando la signora Bice, solo a vederla, gridò: — Ma che vita fate, voi ragazze. Hai una faccia che sembri incinta — . Le disse che al mattino aveva avuto la febbre, e fu contenta che almeno si vedesse che soffriva. Ma tornando a casa, si aggiustò per le scale con un po’ di cipra, perché di Severino si vergognava.

Quella sera aspettò Rosa, aspettò Amelia, aspettò perfino Rodrigues, decisa a chiudere la porta in faccia a chiunque fosse. Non venne nessuno. Severino, per farle rabbia, le gettò in tavola un paio di calze strappate chiedendole se voleva mandarlo scalzo. — Starà fresco quel merlo che ti sposa, — le disse. — Ci fosse mamma, vedresti — . Ginia ridendo e con gli occhi rossi, gli rispose che, piuttosto di sposarsi, si ammazzava. Quella sera non lavò i piatti. Si mise invece davanti alla porta in ascolto. Poi passeggiò per la cucina, e non andava alla finestra, per non vedere i tetti bianchi di neve. Trovò delle sigarette in una tasca di Severino, e si mise a fumarne una. S’accorse che ci riusciva e allora si buttò sul sofà respirando come avesse la febbre, e decise da domani di fumare.

Il sollievo che Ginia in quei giorni provò, di non dover piú correre per fare ogni cosa, le faceva rabbia, perché ormai aveva imparato a sbrigarsi alla svelta e le restava tanto tempo da pensare. Fumare non bastava, perché avrebbe tanto voluto che qualcuno la vedesse, e adesso neanche Rosa non veniva piú a cercarla. Era terribile la sera, quando se ne andava Severino, e Ginia aspettava aspettava qualcuno, senza decidersi a uscire. Provò un brivido una volta, come una carezza, spogliandosi per andare a letto, e allora si mise davanti allo specchio, si guardò senza paura e alzò le braccia sul capo, girandosi adagio, col cuore in gola. «Ecco, se adesso entrasse Guido, che cosa direbbe?» si chiedeva, e sapeva benissimo che Guido a lei non ci pensava nemmeno. «Neanche l’addio ci siamo dati», balbettò, e corse a letto per non piangere nuda.

In certi momenti, per le strade, Ginia si fermava perché di colpo sentiva persino il profumo delle sere d’estate, e i colori e i rumori e l’ombra dei platani. Ci pensava in mezzo al fango e alla neve, e si fermava sugli angoli col desiderio in gola. «Verrà sicuro, le stagioni ci sono sempre», ma le pareva inverosimile proprio adesso


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