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Solamente Stefano bevve il caffè. Le altre due tazze rimasero sul tavolo semivuote.

— So del caso vostro, ingegnere, — diceva il vecchio con le mani sulle ginocchia. — Non siete il solo. Conosco i tempi.

— Come vi trovate, qui? — disse la signora.

Il vecchio scattò. — Come vuoi che si trovi? Paesacci! Lavorare non potete?

Stefano fissava le fotografie sui mobili e i tappeti scoloriti, e rispondeva pacato. In quel vecchio salotto c’era un freddo di pietra che saliva le gambe. Rifiutò dell’altro caffè, e la signora li lasciò.

— Spero che avrete un buon influsso su quello sciagurato di mio figlio, — disse improvvisamente il vecchio. Si guardava intorno con un sorriso preoccupato, e quando Stefano si alzò per accommiatarsi gli tese le due mani: — La vostra visita è un onore. Tornate, ingegnere.

Stefano rincasò un momento a cercare un libro. Era alto mattino, e quel fresco e scalcinato salotto non gli usciva di mente. Con uno sforzo si chiarí il pensiero che era certo di aver pensato istanti prima in quel salotto. La serva scalza, erta sui fianchi, della casa dei gerani, doveva vivere in stanze come quella, strisciare il piede sulle rosse mattonelle. O forse la casa grigia era piú recente. Ma quelle tazzine dorate, quei vecchi ninnoli polverosi, quei tappeti e quei mobili, esalavano nel freddo della pietra l’anima di un passato. Erano quelle le case sempre chiuse, che forse un tempo avevano conosciuto, accoglienti e solatie, altra vita e altro calore. Parevano, a Stefano, le ville dell’infanzia, chiuse e deserte nei paesi del ricordo. La terra arida e rossa, il grigiore degli ulivi, le siepi carnose dei fichi, tutto aveva arricchito quelle case, ora morte e silenziose, se non per la bruna magrezza di qualche donna che aveva in sé tutto il selvatico dei campi e dei gerani.

Nel cortiletto Stefano trovò la figlia non piú giovane della sua padrona di casa, che contegnosa scopava nel fossato un mucchio di rifiuti. A quell’ora insolita vide parecchi bimbi del vicinato scorrazzare e giocare sul terrazzo del tetto. Fra i clamori la donna gli sorrise pallidamente: cosí faceva sempre, incontrandolo. Aveva un viso grassoccio e smorto; vestiva di un nero tranquillo. Vedova o separata da un marito che l’aveva fatta vivere in qualche città lontana, non parlava il dialetto nemmeno con quei bambini. Lo seguí


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