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ciassette anni e le pareva ormai di saperla lunga come Amelia. Tanto piú, non vedendola. In quelle sere già fresche, con Rosa provò a fare l’Amelia. Le rise in faccia sovente e la condusse a passeggio discorrendo. Le riparlò di Pino. Ma in collina a ballare non osava portarla.

Amelia aveva certo qualcuno, e piú nessuno la vedeva. «Finché una donna ha da vestirsi, — pensava Ginia, — fa figura. Bisogna stare attente a non lasciarsi veder nude». Ma non erano cose che si potesse parlarne con Rosa o con Clara né coi loro fratelli che avrebbero subito pensato male o cercato di metterle le mani addosso, e Ginia questo non voleva perché aveva capito che al mondo c’è di meglio di un Ferruccio o di un Pino. Le sere che si trovava con loro, ballavano e scherzavano — discorrevano anche — ma Ginia sapeva ch’era come l’allegria delle domeniche che si andava in barca: una cosa da ragazzi, senza conseguenza, un effetto del sole e del cantare, quando bastava veder uno con l’asciugamano intorno ai fianchi a far la donna, per mettersi a ridere. Invece adesso la domenica e le sere eran fatte di noia, perché da sola Ginia non sapeva piú decidersi e si lasciava portare dalle altre. Dove si divertiva, qualche volta, era all’atelier, quando la signora la chiamava a puntare gli spilli sull’abito di una cliente. C’era da ridere a sentire certe storie che qualche cliente scema raccontava, ma ancora piú divertente era quando la signora fingeva di crederci e se ne stava seria seria mentre gli specchi la riflettevano maliziosa. Una volta venne una bionda che, a sentirla, aveva l’automobile sotto ma se fosse stato vero, pensava Ginia, sarebbe andata in una sartoria piú di lusso. Era giovane e alta, e senza fede. Ma bella — parve a Ginia — bella e slanciata, anche quando restò in calzoncini, reggiseno e nient’altro. Quella sí, se avesse posato, avrebbe fatto un bel quadro, e forse era davvero una modella perché passeggiava davanti agli specchi con lo stesso portamento di Amelia. Giorni dopo, Ginia ne vide la fattura, ma era al semplice cognome, e non seppe di piú. Per lei la bionda restò una modella.

Una sera Ginia si lasciò invitare da un amico di Severino, che venne in casa a portarle una lampada: e l’indomani passò nel suo negozio. Era un giovanotto come Severino, e non le dava soggezione, perché portava sempre la tuta, e qualche anno prima la prendeva ancora per i polsi dicendo se voleva la scossa. Adesso la guardava sporgendo la lingua tra i denti. Ginia ci andò perché da quel


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