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fa negli alloggi vuoti, e Ginia aveva tempo di lavare i piatti che aspettavano nel lavandino, di fare un po’ di pulizia; poi, di stendersi sul sofà sotto la finestra e lasciarsi assopire al ticchettio della sveglia dall’altra stanza. Qualche volta chiudeva anche le imposte per far buio e sentirsi piú sola. Tanto Rosa alle tre avrebbe sceso le scale, fermandosi a grattare contro l’uscio, piano per non svegliare Severino, finché lei non le rispondesse ch’era sveglia. Allora uscivano insieme e si lasciavano al tram.
Di comune, Ginia e Rosa non avevano che quel pezzo di strada e una stella di perline nei capelli. Ma una volta che passavano davanti a una vetrina e Rosa disse: — Sembriamo sorelle, — Ginia s’accorse che quella stella era ordinaria e capí che doveva portare un cappellino se non voleva parere anche lei un’operaia. Tanto piú che Rosa, soggetta ancora a padre e madre, non avrebbe potuto pagarsene uno che chi sa quando.
Quando passava a svegliarla, Rosa entrava se non era già tardi; e Ginia si faceva aiutare a rimettere in ordine, ridendo sottovoce di Severino che, come tutti gli uomini, non sapeva che cosa voglia dire tenere una casa. Rosa lo chiamava «tuo marito», per continuare lo scherzo, ma non di rado Ginia si rabbuiava e ribatteva che avere tutte le noie della casa ma non l’uomo, era poco allegro. Scherzava, Ginia — perché il suo piacere era proprio di starsene quell’ora in casa da sola, come una padrona — , ma a Rosa bisognava di tanto in tanto far capire che non erano piú bambine. Neanche per strada Rosa sapeva stare, e faceva dei versacci, rideva, si voltava — Ginia l’avrebbe pestata. Ma quando andavano insieme a ballare, Rosa era necessaria perché dava a tutti del tu, e con le sue matterie faceva capire agli altri che Ginia era piú fine. In quell’anno cosí bello, che cominciavano a vivere da sole, Ginia s’era presto accorta che la sua differenza dalle altre era di essere sola anche in casa — Severino non contava — e di potere a sedici anni vivere come una donna. Per questo fin che portò la stella nei capelli si lasciò accompagnare da Rosa, che la divertiva. Non c’era un’altra in tutto il rione, che fosse scema come Rosa, quando voleva. Sapeva smontare chiunque, ridendo e guardando in aria, e delle sere intiere non faceva né diceva niente che non fosse per commedia. E litigava come un gallo. — Che cos’hai, Rosa? — diceva qualcuno, mentre si aspettava che cominciasse l’orchestra. — Paura — (e le uscivano gli occhi dalla testa); — ho visto là dietro
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